Lo sport è una vera palestra dell’esistenza, allena il corpo ma fa crescere la mente, aiuta a capire i valori su cui tracciare la propria strada e costruire il proprio futuro. Emanuele Antonello, neolaureato della facoltà di Scienze motorie di Verona, ha scritto una pagina importante del suo percorso, lasciando la sua vita, il basket, per andare a fare volontariato in Thailandia. Sei mesi in cui Emanuele è rimasto vicino ai 140 bambini e ragazzi dell’orfanotrofio Baan Unrak a Sangklaburi. Sei mesi di crescita personale, di sport e di insegnamenti. Sei mesi di vita.
Percorso di vita. Antonello è nato nel 1985, cestista della serie C nazionale di basket, l’anno scorso alla Ferroli San Bonifacio. Si è laureato lo scorso anno a pieni voti nella specialistica in Attività motoria adattata dell’ateneo scaligero con una tesi sul senso del corpo nei pazienti affetti da danni cerebellari. Sin da subito vicino ai disabili, si è occupato con il centro sportivo italiano di Verona del progetto Handicap e sport, seguendo i ragazzi con difficoltà cognitiva. Entrando in contatto con la scuola thailandese fondata dalla veronese Donata Dolci ha deciso di partire per il progetto di volontariato che coinvolge studenti da tutto il mondo.
La situazione thailandese. “Ban Unrak – afferma Emanuele – è una comunità su cui pesano gravi problemi legati all´abuso di alcool, di droghe, in cui gli abusi sessuali sono tollerati. L´abbandono di bambini nati in questi contesti è all´ordine del giorno e la povertà non fa che esasperare questi problemi”. Sangklaburi si trova al confine con la Birmania ed è stata per anni al centro di scontri e problemi. Una città povera, in cui ogni aiuto è fondamentale, soprattutto per i più piccoli. “Il posto è ormai tranquillo, non più luogo di scontri. Io avevo il compito di insegnare ai bimbi lo sport come metodo educativo e ricreativo, per superare i drammi di cui erano stati vittime. Anche se non c’era il campo da basket ho insegnato loro i fondamentali, trattamento palla, passaggi. L´energia che hanno questi ragazzini è contagiosa. Sono rifugiati, scampati alle ostilità perpetrate contro le minoranze etniche, con genitori sparsi in altri villaggi; hanno avuto traumi di rifiuto e abbandono, sono stati vittime di violenze, ma hanno tanta energia da sorprendere”.
Orgoglio di ateneo. E l’Università non può che gioire per un ragazzo che coltiva questi ideali con così grande passione, aiutando chi ha veramente bisogno di aiuto. “Emanuele è sempre stato uno studente modello – dichiara Carlo Morandi, preside della facoltà di Scienze motorie – e non poteva essere cosa più gradita la sua decisione di impegnarsi per quelle comunità che hanno grande bisogno di educatori esperti anche in attività sportive. In momenti di sconforto come questi, per un sistema universitario non più adatto alla società attuale e per la perdita quotidiana di ideali e di motivazioni nei giovani, è gratificante sapere di un’avventura come quella di Emanuele. Anche il nostro ruolo di educatori viene gratificato e testimonianze come questa ci suggeriscono che il nostro lavoro non è stato speso invano."