Scoperta una nuova specie di lievito nel Vin Santo di Gambellara. La notizia arriva dal Laboratorio di Microbiologia Alimentare del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona diretto da Giovanni Vallini. Il Consorzio di Tutela dei Vini Doc Gambellara ha infatti commissionato una ricerca biennale per lo studio di lieviti tipici del territorio implicati nel processo di vinificazione. Il gruppo di lavoro, coordinato da Sandra Torriani ordinario di Microbiologia Agraria è composto da Marilinda Lorenzini, Elisa Salvetti, Giovanna Felis e Fabio Fracchetti.
La nuova specie di lievito è stata ritrovata nel 2010 fino ad allora sconosciuta alla comunità scientifica ed ai produttori di Vin Santo, che probabilmente lo hanno utilizzato da sempre ignari del suo contributo alla produzione. “L’importanza di questi studi sulla biodiversità microbica del vino – spiega la coordinatrice della ricerca Sandra Torriani, nasce dalla necessità dei produttori di diversificare il prodotto, secondo il principio che i lieviti autoctoni siano in grado di esaltare maggiormente le caratteristiche peculiari del vino legate al territorio rispetto ai lieviti industriali commercializzati a livello mondiale. Questo progetto ha dato risultati superiori alle aspettative, in quanto l’utilizzo di tecniche molecolari sullo studio del Dna ha portato, oltre all’identificazione di ceppi autoctoni appartenenti a specie già conosciute, anche alla descrizione di una nuova specie”. Questa nuova entità è stata riconosciuta dalla comunità scientifica internazionale con la pubblicazione nell’International Journal of Systematic and Evolutionary Microbiology1, la rivista ufficiale di riferimento per il settore, e denominata Zygosaccharomyces gambellarensis.
“Sono in corso ulteriori approfondimenti per valutare l’influenza di questo lievito sulle caratteristiche tecnologiche e sensoriali del vino, con l’obiettivo di ottimizzare il processo produttivo del Vin Santo di Gambellara – aggiunge Torriani-. È ipotizzabile che nuovi studi sulla sua diffusione geografica possano portare alla definizione di metodi analitici per la tracciabilità del prodotto. Più in generale, questa esperienza dimostra come la capacità di far incontrare innovazione e tradizione sia fondamentale per valorizzare i prodotti tipici, utilizzando tecnologie all’avanguardia per svelare, proteggere e applicare in modo più consapevole metodi tradizionali di produzione. Questo tipo di ricerca può inoltre essere applicato anche ad altre produzioni vitivinicole, importanti nel territorio veronese, come ad esempio il Soave che si ricava dallo stesso vitigno del vin Santo di Gambellara”
Questa ricerca legata al territorio corona l’attività pluriennale del Laboratorio di Microbiologia Alimentare dell’Università di Verona nell’utilizzo di tecnologie innovative per lo studio della biodiversità microbica, la valorizzazione di alimenti tradizionali e lo sviluppo di nuovi prodotti. “Questa scoperta è solo la più recente tra una serie di successi in progetti mirati allo studio molecolare di alimenti e bevande tipici del territorio Veneto e non solo – evidenzia il direttore Vallini -. Per citarne alcuni, in passato, oltre alla filiera enologica con studi sul Recioto e Amarone nonché su altri prestigiosi vini italiani, sono stati raggiunti importanti risultati nella filiera lattiero-casearia con studi sulla microbiologia del formaggio Monte Veronese Dop e Trentingrana Dop nonché sulla lievitazione di prodotti da forno a pasta acida come pandoro e panettone. Una delle critiche che ricorrono più spesso al sistema della ricerca universitaria italiana è la scarsa connessione col tessuto produttivo locale, ma il caso specifico del Dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, dimostra quanto l’Ateneo sia un partner importante per le imprese in cerca di innovazione”.