Troppa luce fa male, anche alle piante. Ma la natura ha i suoi trucchi per difendersi e uno di questi potrebbe diventare un alleato prezioso per rendere l’agricoltura più sostenibile.
Un team di ricercatori Univr, in collaborazione con l’Accademia delle Scienze di Pechino, ha individuato una speciale proteina fotosintetica che aiuta le piante a gestire meglio l’esposizione alla luce solare intensa. La scoperta, pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Communications, potrebbe aprire nuove strade per coltivazioni più resistenti ai cambiamenti climatici.
Il progetto nasce nel laboratorio di Fotosintesi e bioenergie del dipartimento di Biotecnologie, a cui afferiscono i docenti di Fisiologia vegetale Roberto Bassi e Luca Dall’Osto, l’assegnista di ricerca Roberto Caferri e il dottorando Antonello Amelii. Al lavoro scientifico hanno collaborato i ricercatori del Laboratorio delle Biomacromolecole di Pechino, coordinato da Zhenfeng Liu, ed è finanziato dal fondo per la ricerca di base Erc Advanced Grant “GrInSun” (leggi l’articolo su UnivrMagazine).
Lo studio è nato dall’osservazione di un fatto curioso: alcune piante molto diverse tra loro, come l’abete rosso delle fredde foreste nordiche e la Welwitschia del torrido deserto del Namib, producono in grandi quantità una stessa proteina chiamata Lhcb8. Questa proteina fa parte del sistema che le piante utilizzano per catturare la luce e svolgere la fotosintesi. A differenza della maggior parte delle piante, che preferiscono un’altra proteina chiamata Lhcb4, queste specie “estreme” sembrano affidarsi a Lhcb8 per sopravvivere alla luce intensa.
Partendo dall’ipotesi che Lhcb8 potesse contribuire a proteggere la pianta da un’eccessiva esposizione luminosa, i ricercatori di Verona hanno creato, mediante tecniche di editing genetico, piante che producono solo Lhcb4 o solo Lhcb8. In collaborazione con il laboratorio di Pechino, hanno poi studiato al Crio-microscopio elettronico la struttura del fotosistema II (il cuore della fotosintesi), per comprendere meglio le differenze tra le due proteine.
Il risultato? Le piante con Lhcb8 presentano un “sistema antenna” ridotto del 40%: catturano meno luce, ma in modo più efficiente. Subiscono meno danni quando esposte alla piena luce e lasciano passare più fotoni alle foglie sottostanti. Ciò genera un effetto vantaggioso per tutta la pianta: le foglie superiori restano sane più a lungo, mentre quelle inferiori ricevono più luce del solito e sono quindi più produttive.
“La luce è indispensabile alle piante, ma troppa luce è dannosa – spiega Roberto Bassi – Quando la radiazione solare è molto intensa, una parte dell’energia finisce inevitabilmente per generare molecole tossiche per l’organismo vegetale, causandone il deperimento e limitandone la produttività. Per ovviare a questa limitazione, le piante hanno sviluppato una serie di strategie di difesa. Quella che coinvolge la proteina Lhcb8 ne è un esempio.”
“Capire i meccanismi che prevengono gli stress ambientali è fondamentale per salvaguardare la produttività delle colture – dichiara Luca Dall’Osto – In questo caso, una volta identificato il funzionamento della proteina nel processo di difesa dalla luce in eccesso, è possibile trasferire le conoscenze acquisite ai processi di coltivazione di specie di interesse agronomico che crescono in climi, come il nostro, a elevata esposizione solare. I cambiamenti climatici pongono sfide sempre più complesse all’agricoltura. Il risultato raggiunto con questa ricerca potrebbe offrire un nuovo strumento per affrontare le sfide degli anni a venire.”
Leggi l’articolo originale su Nature
SM