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Dai rifiuti alle bio plastiche, i risultati finali del progetto Res Urbis

L'intervista ai docenti David Bolzonella, coordinatore del progetto per l'ateneo, e Ivan Russo

di Elisa Innocenti
3 Giugno 2020
in Ricerca e innovazione
circular economy. product is recycled. management concept. - Vector

circular economy. product is recycled. management concept. - Vector

Valorizzare gli scarti urbani o industriali di origine organica mediante trasformazione in bio-polimeri per la produzione di plastiche ecocompatibili. Questa la finalità del progetto Res Urbis, cui ha partecipato l’ateneo veronese, che ha raggiunto importanti risultati, come il conseguimento di un brevetto internazionale e l’inserimento nelle strategie della Commissione europea.

Lo studio si è svolto nel triennio 2017-2019, sotto il coordinamento dell’università La Sapienza di Roma, e ha visto coinvolti numerosi ricercatori dell’ateneo di Verona: David Bolzonella e Nicola Frison, docenti del dipartimento di Biotecnologie, Ivan Russo e Ilenia Confente, docenti del dipartimento di Economia aziendale, Andrea Caprara e Sergio Moro docenti del dipartimento di Scienze giuridiche.  

Abbiamo incontrato il professor Bolzonella, coordinatore delle attività per l’università di Verona, e il professor Russo, per parlare dei principali risultati del progetto.

Come è nato il progetto Res urbis e quali obiettivi si prefiggeva?

Il progetto si prefissava l’obiettivo di convertire i rifiuti organici di origine urbana, come gli scarti alimentari delle nostre case o di esercizi commerciali come bar e ristoranti, mense e supermarket, o di origine agroindustriale, quali i rifiuti della lavorazione di frutta e verdura, in bioplastica per la produzione di film o imballaggi rigidi. Per dare la dimensione di ciò di cui si parla basti pensare che in Italia la sola produzione di rifiuti organici urbani equivale a circa 120 kg pro-capite all’anno. Le bioplastiche così prodotte hanno degli enormi vantaggi rispetto alle plastiche derivate dal petrolio: originano da rifiuti organici, materia prima inesauribile, sono prodotte attraverso processi biologici a basso impatto ambientale e generano un prodotto plastico biodegradabile in grado cioè di essere scomposto in condizioni naturali.

Di fatto, abbiamo affrontato una sfida fondamentale per dare una risposta tangibile al nuovo paradigma dell’economia circolare: partire da rifiuti raccolti separatamente per produrre oggetti in plastica che, a fine vita, anziché contribuire all’ulteriore inquinamento dell’ambiente se dispersi o smaltiti scorrettamente, possono essere gettati con il rifiuto organico per ridare nuovamente vita a bioplastica, tutto ciò riducendo drasticamente le relative emissioni di CO2.

L’intento del consorzio, composto da una ventina tra atenei, enti di ricerca e aziende europee, era di analizzare le condizioni tecniche e di business per far diventare lo scarto, e spreco, alimentare il nuovo petrolio di domani per produrre prodotti in bioplastica che possano affiancarsi e poi gradualmente sostituire i prodotti a base fossile in alcuni settori industriali.

Quali i principali risultati conseguiti?

I risultati ottenuti sono stati molteplici: dal punto di vista tecnologico abbiamo sviluppato impianti pilota di grossa taglia in grado di trattare i rifiuti organici per trasformarli in biopolimero da utilizzare per produrre film o plastiche rigide.  Tutto ciò ha generato un brevetto internazionale (WO2019 171316 A1) di cui l’università di Verona è co-proprietaria.  Nell’ambito del progetto si è anche dimostrato che gli inquinanti presenti nei rifiuti non migrano nelle bioplastiche prodotte; inoltre, abbiamo testato le potenziali diffidenze di consumatori e imprese in tal senso, dimostrando la totale sicurezza del prodotto stesso.

Accanto a ciò vanno ricordati molteplici articoli apparsi su riviste scientifiche di primaria rilevanza internazionale e la formazione di una decina di giovani ricercatori tra assegnisti di ricerca e dottorandi.  Ancora più significativi, a nostro modo di vedere, sono stati però i risultati ottenuti in termini di impatto su politiche e strategie della Commissione Europea.

In che modo il progetto è stato inserito dall’UE nelle sue strategie?

A tal riguardo basti ricordare che il progetto Res Urbis è citato quale esempio di innovazione per la produzione di plastiche biodegradabili all’interno della European Plastic Strategy, il documento che definisce appunto la strategia generale della Commissione Europea nella produzione, gestione e smaltimento delle plastiche una volta giunte a fine vita. Accanto a ciò va ricordato come lo studio “From trash to treasure: the impact of consumer perception of bio-waste products in closed-loop supply chains” di Ivan Russo e del suo team di ricerca è stato scelto dalla Commissione Europea per essere divulgato sulla rivista della Commissione “Science for Environment Policy” raggiungendo 22,000 policymakers, accademici e managers in Europa per supportare lo sviluppo di politiche basate su evidenze sperimentali.

Non da ultimo, i risultati del progetto sono apparsi sul Servizio comunitario di informazione in materia di ricerca e sviluppo (CORDIS) che risulta la principale fonte della Commissione europea in merito ai risultati dei progetti finanziati dai programmi quadro dell’UE per la ricerca e innovazione.

Quale impatto concreto potrà avere sulla gestione futura dei rifiuti e nell’implementare l’economia circolare?

L’approccio complessivo del progetto mira esattamente a perseguire le logiche dell’economia circolare: mantenere l’attuale schema di raccolta differenziata dei rifiuti organici aggiungendo una  via alternativa all’attuale generazione di metano e compost ovvero produrre bioplastiche che, a fine vita, diventeranno altri rifiuti organici e con essi saranno smaltite.

Proprio in questi giorni infatti è stato riconosciuto il ruolo di Biorepack, il consorzio nazionale per il riciclo organico degli imballaggi in plastica biodegradabile e compostabile, nell’ambito della gestione della raccolta e smaltimento di rifiuto imballaggi.

Vogliamo ricordare, per una completa rappresentazione degli impatti, che in Europa solamente il 14% della plastica arrivata a fine vita viene raccolta separatamente e riciclata in qualche forma mentre la rimanente parte di questo materiale viene dispersa nell’ambiente per erronee pratiche di gestione del ciclo dei rifiuti, smaltita in discarica o incenerita, generando ulteriori emissioni di CO2.

Viceversa la graduale sostituzione della plastica con la bioplastica permetterà di alleggerire tale fronte aprendo nuove opportunità di business alle imprese del settore o di nuove entranti che vorranno cogliere questa opportunità di sviluppo fortemente voluto e supportato dalla Commissione europea, nonché dalle incoraggianti risposte dei consumatori nelle intenzioni di cambiare abitudini di consumo verso prodotti derivanti da rifiuto organico. In questo modo, mantenendo le buone prassi già acquisite dai cittadini in termini di raccolta differenziata il progetto Res Urbis ha aperto un percorso di innovazione in contesti tecnici, produttivi e di business impensabili fino a qualche anno fa.

È evidente che le bioplastiche non sostituiranno, almeno a breve, l’intera produzione di plastica fossile, ma è fondamentale che le aziende del settore si preparino a questa svolta che unitamente al riciclo delle plastiche convenzionali, cambieranno il mercato della plastica.

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