Sono trascorsi dieci anni dai quattro attacchi suicidi da parte di terroristi di al-Qā’ida. L’11 settembre 2001 due aerei civili furono fatti schiantare sulle torri del World Trade Center di New York, causandone il crollo; un aereo di linea fu diretto contro il Pentagono e uno si schiantò in un campo vicino alla Casa Bianca, a Washington. Le conseguenze per persone e cose furono enormi. Nel crollo delle torri gemelle morirono 2.752 persone, soprattutto vittime civili di 70 diverse nazionalità, 343 vigili del fuoco e 60 poliziotti.
Usa Patriot Act. Sul piano economico, l’economia di Manhattan perse miliardi di dollari a causa della distruzione di uffici e le borse rimasero chiuse per una settimana, con enormi perdite subito dopo la riapertura (specie per compagnie aeree e di assicurazioni). Sotto il profilo politico, gli Stati Uniti dichiararono guerra al terrorismo islamico, emanando l’USA Patriot Act, inclusa anche un’invasione nell’Afganistan controllata dai Talebani e nell’Iran di Saddam Hussein, accusati di aver ospitato i terroristi. Tante altre nazioni sostennero tali decisioni, rafforzando la loro legislazione anti-terroristica e incrementando i poteri di polizia.
Aumento di stereotipi e pregiudizi. A tali drammatiche conseguenze generati dalla violenza, nel mondo si registra anche un inusitato aumento di stereotipi, pregiudizi, nonché ostilità verso il mondo islamico in generale. Nel vissuto collettivo, alimentato da giornali e televisioni, la religione islamica è sempre più identificata come humus dei fenomeni terroristici. A tutt’oggi le persone di carnagione scura sono considerate le più sospette – e controllate – negli aeroporti. Purtroppo cittadini e politici di paesi civili e democratici pare stentino ancora a discernere tra gruppi terroristici e persone diverse di “buona volontà”. Alla violenza si rischia di rispondere con violenza, ingenerando nuove spiarli di odio e violenza.
Bisogno di cultura e di educazione. All’alba del nuovo millennio, dove “non solo ogni parte del mondo fa sempre più parte del mondo, ma il mondo come un tutto è sempre più presente in ciascuna delle sue parti” (Morin), per gestire i conflitti causati dalle diversità abbiamo un disperato bisogno di cultura (intesa come sapere e della conoscenza) e di educazione. Un detto indiano ricorda che due lupi lottano all’interno di ogni essere umano, uno pieno di rabbia, rancore e risentimento nei confronti del diverso, l’altro animato da compassione, correzione e amore intelligente. Alla fine prevarrà il lupo che avremo saputo educare e nutrire meglio nel nostro quotidiano. Investire maggiormente nell’educazione (scolastica, familiare e nella società civile), è il miglior modo per imparare a dividere e giudicare gli essere umani per ciò che realmente sono, prescindendo da lingua, nazionalità, colore della pelle o religione. Specie nel tempo della democrazia e del pluralismo, ogni persona necessita di educazione per imparare a gestire quegli istinti che ci legano al mondo animale per fare più spazio alle parti squisitamente umane.
di Agostino Portera