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Ho sognato una banca

Intervista a Fabio Salviato, fondatore e presidente di Banca Etica.

di univr
14 Giugno 2010
in Senza categoria
Ho sognato una banca

Ho sognato una banca

“Ho sognato una banca”. Questo il titolo – quanto mai significativo di questi tempi – del libro scritto da Fabio Salviato in collaborazione con Mauro Meggiolaro ed uscito per Feltrinelli qualche settimana fa. Fabio Salviato è il presidente e fondatore di Banca Etica, istituto bancario che ha pochi eguali al mondo ed è sicuramente un caso (più che) unico nel panorama nazionale. Una banca nata dal basso, attraverso l’impegno costante di associazioni, cooperative e soprattutto di tanti cittadini che hanno creduto in questo “sogno”. Un progetto che mette al centro di tutto la persona, solo dopo il capitale.

Salviato ha tradotto questa sua avventura in un libro dalla scrittura efficace e al tempo stesso assolutamente coinvolgente. E così, anche in virtù di un suo recente passaggio a Verona (dove Giuseppe Favretto ha presentato il suo libro al Forum Fnac) e al fatto che proprio tra le colline della Valpolicella nel 1994 si decise di tentare il grande passo verso la creazione della banca, abbiamo deciso di intervistarlo per Univrmagazine.

Dottor Salviato cosa vuol dire Banca Etica e che differenza c’è con gli altri istituti bancari?

La nostra parola d’ordine è trasparenza. Su questo concetto, per noi fondamentale, abbiamo costruito delle differenze importanti rispetto alle altre banche. Per fare un esempio, il nostro cliente tramite una dichiarazione può richiedere che il proprio investimento venga utilizzato per finanziare attività specifiche nel campo sociale: una determinata cooperativa, un microcredito relativo all’impianto di energie rinnovabili, un progetto internazionale. Mi sembra che questo nelle altre banche non sia nemmeno immaginabile. Lì il rapporto si ferma allo sportello ed il cliente non sa bene dove verranno impiegati i suoi soldi. Questa tracciabilità del denaro degli investitori porta a sua volta ad altri due concetti a noi molto cari: all’accessibilità e alla partecipazione del cliente nei confronti dei nostri progetti.

Banca Etica adotta dei criteri che si rifanno alla cosiddetta “finanza etica”, ma dopo tutti gli scandali finanziari degli ultimi anni questa espressione non rischia di apparire quasi come un ossimoro?

In effetti il sistema banca negli ultimi decenni si è totalmente snaturato. Al giorno d’oggi bisognerebbe definirla più che altro come intermediazione finanziaria. Le banche raccolgono fondi dai cittadini per poi investirli nella finanza. Questo non ha nulla a che fare con lo scopo vero delle banche, quello per cui sono nate e si sono sviluppate nel corso dei secoli, cioè raccogliere credito, ovvero fiducia, per gli investimenti delle imprese e dei cittadini. Se il sistema banca, come lo si concepisce oggi, non è più in grado di offrire fiducia, allora possiamo dire tranquillamente che il ruolo delle banche è finito. Sappiamo benissimo che, in questo esatto istante, ci sono delle bolle speculative enormi che potrebbero esplodere da un momento all’altro. Speculazioni che non riguardano solo paesi cosiddetti arretrati o in via di sviluppo, ma che interessano grandi economie come quella degli Stati Uniti, che è bene ricordarlo é il Paese più indebitato al mondo. Finora quell’economia è stata sempre protetta, ma in futuro potrebbe non essere così. 

E Banca Etica come si propone da questo punti di vista?

Vogliamo tornare a “fare banca” in modo tradizionale. Recuperare un sistema che è stato concepito proprio qui in Italia secoli fa e, forse, proprio per questo il nostro Paese è fra quelli che hanno retto meglio all’urto dei mercati finanziari degli ultimi anni. Proprio perché la struttura ha delle basi più solide che da altre parti. In diversi Paesi si è sviluppato un modo di intendere la banca come quello di generare massimi profitti nel periodo più breve possibile. Questa politica è stata incentivata in ogni modo. Ma una banca deve prevedere e progettare per i prossimi dieci o venti anni, non per i prossimi dieci minuti. A Londra i broker vengono direttamente prelevati dalle agenzie di scommesse ippiche. E’ evidente che qualcosa non funziona. Porre delle regole per recuperare una spirito di gestione della banche corretto e trasparente sarebbe il modo migliore per tornare ad un modo di far banca sano. La ricetta sarebbe semplice e qualcuno come la Merkel ci sta anche provando, ma al momento è stato fatto ancora troppo poco. 

Le finalità di Banca Etica – forse è bene chiarirlo – non sono rivolte alla beneficienza, ma come riporta il vostro stesso Statuto a realizzare attraverso finanziamenti mirati delle “conseguenze non economiche di azioni economiche”. Questo cosa significa in soldoni?

Significa che attraverso le attività che andiamo a finanziare aiutiamo progetti nel campo del sociale. Le faccio un esempio. A Riace, in Calabria, abbiamo finanziato un progetto da 30mila euro per la ristrutturazione di una decina di case. La grande forza del volontariato sta anche in questo: portare a termine una tale mole di lavoro con un budget così risicato. Alla fine da questo seme sono stati creati una ventina di posti di lavoro e tutto il paese ha ricominciato a vivere: la panetteria, la tabaccheria, tutti quanti ne hanno giovato. Se lo Stato avesse voluto raggiungere gli stessi obiettivi avrebbe dovuto investire come minimo due milioni di euro. E’ ovvio che, in un periodo di crisi come quello che stiamo vivendo, l’applicazione su larga scala di queste intuizioni sarebbe di importanza fondamentale.

Nel suo libro si parla della fondazione di Banca Etica. Lei descrive i primi anni Novanta come un periodo in cui la possibilità di cambiare la società era – a differenza di oggi – ancora un obiettivo raggiungibile. Esistevano tempi e spazi per generare un progetto importante come il vostro. Perché, secondo lei, oggi non ci sono più queste possibilità e come vede il futuro? Siamo stati l’ultima banca etica autorizzata in Europa, questo vorrà pur dire qualcosa. Da una parte le banche tradizionali si sono inserite in questo tipo di mercato perché hanno colto le opportunità che questo può riservare, dall’altra in questi ultimi dieci anni c’è stato un ulteriore appesantimento burocratico. Si è passati dal cosiddetto Basilea 2 al Basilea 3, ancora più impegnativo. Quando abbiamo creato il progetto di Banca Etica le difficoltà erano enormi, oggi un’iniziativa di questo tipo sarebbe praticamente impossibile. Ciò danneggia non solo chi vuole creare una banca come la nostra, ma anche tutte quelle piccole imprese che potrebbero beneficiare dei suoi servizi. Tali normative non sono assolutamente in grado, poi, di dare maggiori sicurezze. Basti pensare alla Lehman Brothers, fallita nel pieno rispetto delle regole.

Proprio queste regole andrebbero forse riscritte quindi? Decisamente direi. Ad esempio una banca come la nostra, solamente per il fatto di investire nel sociale, viene considerata a rischio. Questo ci permette di finanziare al massimo per dieci volte il capitale. Le banche commerciali, invece, adottando il sistema di rating possono arrivare a dodici o, addirittura, diciotto volte il capitale. Una banca come la nostra, che nel corso degli ultimi dieci anni ha creato 100mila posti di lavoro, si trova in posizione di svantaggio rispetto agli altri istituti di credito. Ci vorrebbe un ranting di tipo sociale allora. L’altro errore di concetto a cui assistiamo quotidianamente è il fatto che viene dato troppo peso alle garanzie rispetto alla sostenibilità dei progetti. Spesso succede che iniziative molto interessanti non possano prendere piede perché non hanno alle spalle le garanzie necessarie.

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