Riscoprire un’antica tradizione agricola per immaginare nuovi modelli di sviluppo sostenibile. È questo l’obiettivo della ricerca “Gelsibachicoltura nel Veronese: attraverso il passato verso il futuro. Riattivazione di processi locali virtuosi legati alla seta per il benessere dei territori e delle persone”, un progetto biennale sostenuto dalla Fondazione Cariverona nell’ambito del Bando “Ricerca e Sviluppo” 2024. Coordinato dall’Università di Verona, in collaborazione con altri enti e centri di ricerca tra cui il Crea di Padova, il progetto adotta un approccio interdisciplinare – antropologico, economico e storico – per indagare la gelsibachicoltura come patrimonio culturale vivente, capace di generare innovazione agricola e sociale.
Il progetto, biennale, all’incrocio tra antropologia, economia e storia, è guidato da Anna Maria Paini, docente di Antropologia culturale e coordinatrice dell’iniziativa. Accanto a lei nel team di progettazione e ricerca ci sono anche Attilio Stella, ricercatore nel dipartimento di Culture e Civiltà, e Veronica Polin, docente del dipartimento di Scienze economiche, mentre il primo assegno di ricerca attivato è stato assegnato all’antropologa Giuliana Arnone.
Al termine del primo anno, il progetto ha già raggiunto risultati significativi, soprattutto nei territori di Povegliano-Villafranca e Isola della Scala. Qui è stato avviato un “gelseto diffuso” con la messa a dimora di circa 280 piante di gelso bianco, che verranno ulteriormente incrementate nel corso del 2025. Contestualmente, si è concluso con successo il primo allevamento sperimentale di 5.000 bachi da seta, culminato con l’imbozzolamento e l’essicazione dei bozzoli. Questi passi iniziali rappresentano la base concreta per la futura costruzione di una filiera produttiva locale e sostenibile della seta.
Parallelamente, si è sviluppato un intenso lavoro di ricerca, grazie all’inserimento nel team di giovani studiosi provenienti da diverse aree disciplinari. L’interazione tra saperi accademici e conoscenze territoriali è stata favorita fin dalle prime fasi del progetto, come sottolinea la coordinatrice dello studio: «È un’iniziativa che unisce in maniera feconda ricerca interdisciplinare e relazioni col territorio, attivando sin dalle fasi progettuali un dialogo costante con le realtà locali coinvolte. Già nel primo anno, i risultati concreti testimoniano la vitalità e il potenziale di questo approccio condiviso».
Il lavoro sul campo è stato accompagnato da momenti di apertura pubblica. In occasione della Biennale di arte tessile “Verona Tessile”, il progetto è stato presentato alla cittadinanza attraverso una mostra ospitata al Museo di Storia Naturale (14-18 maggio) e una conferenza, tenutasi il 17 maggio.
Un ulteriore elemento chiave è la collaborazione con l’azienda di filati MIC – Manifattura italiana Cucirini, con sede a Vallese – che si occuperà della trasformazione del filato di seta e condurrà prove di laboratorio per testarne la qualità e la competitività rispetto agli standard di mercato. Questo passaggio rappresenta un punto di svolta verso la creazione di una filiera integrata che metta in relazione sperimentazione agricola, innovazione scientifica e produzione industriale, aprendo la strada a future opportunità commerciali sostenibili.
“Lo scenario futuro delineato dal progetto è promettente”, spiega Paini. “La gelsibachicoltura potrebbe rappresentare un’occasione per rigenerare il territorio veronese, rilanciando saperi antichi e promuovendo pratiche agricole a basso impatto, capaci di creare nuova occupazione qualificata. Il gelso, oltre a sostenere l’allevamento del baco da seta, contribuisce alla protezione del suolo e all’assorbimento della CO₂, rafforzando la dimensione ecologica dell’iniziativa. Inoltre, la seta – una fibra naturale di alta qualità – si presta oggi a impieghi sempre più diversificati, che spaziano dall’abbigliamento all’alta moda, ma anche ai settori del design sostenibile, della cosmesi e della ricerca biomedica”.
Il progetto guarda anche a possibili sinergie con il turismo del patrimonio e l’educazione ambientale, con l’intento di rafforzare i legami tra paesaggio, storia locale e attività produttive, trasformando i territori coinvolti in veri e propri laboratori di innovazione culturale e sociale. Una seta, dunque, non solo da indossare, ma da riscoprire come filo conduttore per il futuro.
Elisa Innocenti