Un team di ricercatrici e ricercatori Univr ha compiuto un passo significativo nella comprensione di una rara malattia genetica che colpisce il metabolismo dei neurotrasmettitori. La ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista The Febs Journal, ha sviluppato un innovativo modello cellulare in vitro per studiare la carenza di AADC, una condizione genetica che compromette la produzione di dopamina, con gravi ripercussioni sullo sviluppo neurologico.
Alla guida del progetto Mariarita Bertoldi, docente del dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento, che ha coordinato una rete di collaborazioni multidisciplinari. Con lei, hanno contribuito Patricia M.-J. Lievens,Cristian Andres Carmona-Carmona, Giovanni Bisello, Rossella Franchini, Roberta Galavotti, anch’essi afferenti allo stesso dipartimento. Al lavoro hanno partecipato anche Massimiliano Perduca, Rui P. Ribeiro e Alejandro Giorgetti del dipartimento di Biotecnologie. La ricerca è frutto della collaborazione con l’Istituto di Cristallografia del Cnr di Bari e con Gianluigi Lunardi del Laboratorio di Analisi cliniche e medicina trasfusionale dell’Ircss-Ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar.
Utilizzando la tecnologia di gene editing CRISPR/Cas9, i ricercatori hanno “spento” il gene DDC nella linea cellulare di neuroblastoma umano SH-SY5Y. Il risultato? Un modello cellulare privo della proteina AADC e della sua attività enzimatica, utile per studiare le conseguenze molecolari della malattia.
L’analisi dei metaboliti e delle proteine coinvolte nella sintesi della dopamina ha evidenziato profonde alterazioni, come bassi livelli di acido omovanillico e alti livelli di 3-O-metildopa, nonché variazioni nell’espressione di enzimi chiave. In particolare, due varianti della proteina (R347Q e L353P), inserite artificialmente nel modello, si sono rivelate incapaci di svolgere correttamente la loro funzione a causa di modificazioni strutturali che compromettono il sito attivo dell’enzima, come comprovato dai risultati delle analisi di biologia strutturale.
La portata di questo studio va però oltre la singola patologia. “Il nostro modello – spiegano i ricercatori – potrà essere usato per lo screening di piccole molecole farmacologiche, favorendo lo sviluppo di terapie di precisione. Inoltre, apre nuove prospettive per comprendere malattie neurodegenerative più comuni come il Parkinson, dove il deficit di dopamina è un tratto distintivo”.
Lo studio è stato sostenuto da finanziamenti del ministero dell’Università e della ricerca nell’ambito del Pnrr e dal progetto #Nextgenerationeu (Ngeu) project Mnesys (PE0000006) – A Multiscale integrated approach to the study of the nervous system in health and disease – (DN. 1553 11.10.2022), riconoscendo l’impatto potenziale di questo approccio su scala clinica.
DOI: 10.1111/febs.70120
SM