Nonostante l’attenzione crescente verso la salute mentale, in Europa moltissime persone non ricevono ancora le cure di cui avrebbero bisogno. A dirlo è uno studio pubblicato sulla rivista The Lancet Regional Health – Europe, coordinato da Corrado Barbui direttore del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento Univr e Chiara Gastaldon della sezione di Psichiatria dello stesso dipartimento.
La ricerca, dal titolo Mental health service coverage and gaps among adults in Europe: a systematic review, ha coinvolto partner internazionali di rilievo come l’Organizzazione mondiale della sanità, la London School of Economics, il King’s College di Londra, l’Hospital del Mar Research Institute di Barcellona e l’Istituto di Salute Carlos III di Madrid. Tra gli altri enti partecipanti figurano anche la Pompeu Fabra University di Barcellona e il Global Mental Health Peer Network, con sedi nel Regno Unito e in Lituania.
Si tratta di una revisione sistematica della letteratura scientifica che ha analizzato 45 studi internazionali, fornendo quasi 200 stime sulla copertura dei servizi di salute mentale (service coverage, cioè la percentuale di persone seguite dai servizi rispetto a chi ne avrebbe bisogno) e sulle cosiddette lacune terapeutiche (treatment gap, le persone che non ricevono alcun trattamento pur necessitandone).
Dallo studio emerge un quadro chiaro: la disponibilità dei servizi di salute mentale è molto disomogenea tra i Paesi europei. “I nostri risultati mostrano che, nonostante l’attenzione crescente, la disponibilità e l’accessibilità dei servizi rimangono estremamente disuguali – spiega Chiara Gastaldon – Servono sistemi di monitoraggio affidabili e politiche coordinate a livello nazionale e internazionale per colmare queste differenze”.
In particolare, la copertura dei servizi è più alta per i disturbi mentali gravi, come la schizofrenia e i disturbi psicotici, ma decisamente più bassa per depressione, ansia e dipendenze da alcool e sostanze. Si tratta proprio dei disturbi più diffusi, che colpiscono milioni di europei ogni anno.
Molti Paesi, sottolineano gli autori, non dispongono di dati nazionali completi o comparabili tra loro, e le metodologie di raccolta variano molto. Questo rende difficile capire se le politiche sanitarie stiano davvero migliorando la situazione. Le fasce più vulnerabili della popolazione — come rifugiati, senzatetto e minoranze etniche — risultano le più penalizzate: per loro le possibilità di accedere a cure adeguate restano molto inferiori alla media europea.
Lo studio richiama l’urgenza di creare un sistema armonizzato di monitoraggio del service coverage e del treatment gap in Europa. Solo dati coerenti e aggiornati potranno dire se i Paesi stanno avanzando verso l’obiettivo fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità: aumentare del 50% entro il 2030 la copertura dei servizi di salute mentale, garantendo un’assistenza accessibile, adeguata ed equa in tutto il continente.
“Ci sono segnali positivi per i disturbi psicotici”, conclude Gastaldon, “ma le disuguaglianze restano forti per le condizioni più comuni. Servono investimenti strutturali, più personale qualificato, servizi diffusi sul territorio e politiche che riducano le barriere economiche e sociali all’assistenza”.
Sara Mauroner

























