Una nuova tecnologia sviluppata all’Università di Verona potrebbe presto cambiare la vita quotidiana delle persone affette da gravi patologie muscolari. Un gruppo di ricerca del dipartimento di Ingegneria per la medicina di innovazione ha compiuto un significativo balzo in avanti nel campo degli esoscheletri assistivi, pensati per supportare il movimento di soggetti con debolezza muscolare, come nel caso della distrofia muscolare.
Il progetto è realizzato in collaborazione con Plumake srl, un’azienda veronese specializzata nello sviluppo di soluzioni di automazione e robotica.
Ne parliamo con Andrea Calanca, docente di robotica e coordinatore del gruppo di ricerca.
Professor Calanca, come funziona la nuova tecnologia sviluppata nell’ambito del progetto di ricerca e che impatto può avere sulla vita dei pazienti?
Il nuovo esoscheletro, pensato per supportare gli arti superiori, sfrutta una tecnologia brevettata e basata sulla captazione dei segnali elettrici trasportati dai nervi grazie ad un braccialetto indossabile. Consente un’assistenza elevata ma naturale, anche nei casi in cui i segnali muscolari siano deboli o disturbati, come spesso accade nei pazienti affetti da miopatie gravi. L’apparato è in grado di rilevare e interpretare correttamente i segnali elettromiografici di superficie, anche in presenza di forte rumore biologico o di adiposità muscolare. L’impatto potenziale della tecnologia è molto rilevante: potrebbe restituire a molti pazienti un’autonomia parziale e una migliore qualità della vita.
Quali sono le realtà coinvolte?
Gli ultimi risultati che abbiamo raggiunto nascono da una collaborazione industriale con Plumake srl ma la lunga strada che abbiamo percorso ha coinvolto anche un dottorato finanziato dal Programma operativo nazionale e ha beneficiato di fondi del Fondo sociale europeo con un partenariato che include l’ospedale Sacro Cuore Don Calabria di Negrar e l’azienda EBNeuro spa. Si inserisce in un filone di studi che da anni esplora il controllo basato sull’attività muscolare per esoscheletri attivi ma non era mai arrivato a questi livelli di performance e naturalezza nell’utilizzo.
Cosa differenzia questa tecnologia da altri progetti simili?
Durante vari progetti eravamo riusciti ad ottenere un sistema funzionante ma poco usabile, con movimenti scattosi, poco naturali e difficili da gestire per l’utente. La letteratura scientifica riporta molte possibili implementazioni di controllo basato su segnali nervosi, tutte affette da queste limitazioni. A differenza delle soluzioni esistenti, il sistema sviluppato a Verona interpreta i segnali in una modalità nuova, come un bio-feedback per il sistema robotico che si adatta in base agli sforzi (minimi) dell’utente. Come se il robot capisse da questi segnali se sta assistendo bene o male, autoregolandosi e creando un sistema sinergico uomo-robot, controllato dall’intenzione di movimento dell’utente. Basandoci su questa intuizione, abbiamo raggiunto un livello di prestazione che, nella mia esperienza, non avevo mai osservato. Il team è ora pronto a diffondere i risultati su larga scala. Il nostro obiettivo è dare la massima visibilità a un traguardo che potrebbe avere importanti ricadute sociali.
Quali saranno i prossimi passi?
Innanzitutto, è necessario mantenere il team di ricerca e non perdere le competenze acquisite in tanti anni di esperienza. Nel mio team vi sono collaboratori che lavorano con me da molti anni e, non solo credono fortemente nel progetto, ma hanno sviluppato competenze difficilmente reperibili sul mercato, frutto di un’esperienza maturata in contesti altamente specifici. Quindi il prossimo passo è sicuramente quello di cercare bandi compatibili con queste tematiche. La ricerca universitaria si mantiene grazie a investimenti pubblici e privati e penso che questa intervista aiuti anche a consapevolizzare eventuali enti finanziatori, ma anche i cittadini, di nuove possibilità di investimento e sviluppo. Stiamo anche validando gli stessi algoritmi in contesti applicativi diversi, come l’assistenza a lavoratori sani durante attività fisicamente impegnative, tramite esoscheletri attivi destinati all’uso industriale. Anche qui stiamo iniziando a vedere ottimi risultati. Un video del primo prototipo è visionabile sul nostro sito
Quali ostacoli vede nel percorso e quali possibili traguardi?
L’ostacolo maggiore che vedo riguarda proprio il punto di cui ho appena parlato. Non è sempre facile trovare dei bandi attenti a questa tematica e i rischi di perdere membri del team nei prossimi anni è, quindi, molto elevato. Per progettare un sistema robotico servono tante competenze: dalla meccanica, alla meccatronica e all’informatica, e tutte devono essere in qualche misura reperibili all’interno del team.
Per quanto riguarda i traguardi che immaginiamo di raggiungere, beh questa è la parte della questione che ci motiva maggiormente. Oltre alla ovvia soddisfazione che proviamo quando raggiungiamo traguardi di ricerca importanti e con alto impatto, l’obiettivo quotidiano è quello di vedere la motivazione negli occhi e nelle azioni dei ragazzi che lavorano con me. Quindi potremmo dire che, lavorando in questo contesto, io mi sento già arrivato al traguardo, se riusciremo a portare queste tecnologie fuori dai laboratori sarà invece un traguardo per la società, per noi sarebbe solo questione di investimenti e tempo.
SM