La distrofia dei coni è una grave forma di malattia retinica che colpisce una persona su 10.000 e di cui, a oggi, non esistono cure. La Fondazione Telethon ha di recente finanziato con un budget di 330.000 euro un progetto di ricerca triennale coordinato da Daniele Dell’Orco della sezione di Chimica biologica del dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento dell’università di Verona in collaborazione con l'università di Pisa e l’Istituto di Biofisica del Consiglio nazionale delle ricerche di Milano.
La distrofia dei coni è una patologia rara che colpisce i fotorecettori, le cellule da cui ha origine il segnale visivo, portando ad una diminuzione della visione centrale, dei colori e alla fotofobia. Nei pazienti affetti da questa malattia la disfunzione dei coni è spesso seguita dalla degenerazione dei bastoncelli, un altro tipo di fotorecettore. In questo caso l'evoluzione della malattia può causare anche la perdita progressiva della visione periferica. Attualmente non esiste una cura per tale distrofia, che assieme a distrofie retiniche simili colpisce una persona su 10.000.
“Negli ultimi anni – spiega Daniele Dell’Orco – sono state identificate un numero crescente di mutazioni nel gene responsabile della produzione di GCAP1, una proteina sensore che rileva il calcio intracellulare e regola importanti processi biologici. Le conseguenze delle modifiche indotte dalle mutazioni geniche sono state solo in parte esplorate e i meccanismi che portano all'insorgenza della malattia rimangono in gran parte oscuri. In questo progetto caratterizzeremo le varianti di GCAP1 associate a distrofia dei coni applicando metodi sperimentali e simulazioni al computer. Confronteremo le proprietà strutturali e funzionali di GCAP1 in condizioni normali ed associate a malattia e studieremo le alterazioni nell'interazione con la guanilato ciclasi, un enzima fondamentale per mantenere una corretta concentrazione di calcio ed evitare la morte cellulare. Attraverso queste informazioni identificheremo nuove molecole capaci di attenuare ed eventualmente eliminare l’erronea regolazione indotta da GCAP1 alterata, verificando il loro potenziale terapeutico con esperimenti effettuati anche su un modello animale di malattia”.
12.12.2016