Più posti negli asili nido e congedi parentali condivisi tra madri e padri non solo favoriscono l’occupazione femminile, ma aumentano anche la natalità. È quanto emerge dalle prime evidenze del progetto di ricerca Prin 2022 Pnrr “Retain – Rethiking incentives and barriers to maternal employment”, coordinato dalle Università di Verona, Ca’ Foscari e Bocconi e presentato martedì 27 ottobre al workshop internazionale “Retain workshop on Incentives and barriers to maternal employment” che si è tenuto a Venezia.
Con un tasso di occupazione femminile pari al 57,4% nel 2024 – ben 15 punti in meno rispetto alla media europea (72,4%) – l’Italia resta uno dei paesi Ue dove è più difficile per le donne mantenere un impiego stabile, soprattutto dopo una gravidanza. Tra le madri, infatti, il tasso di occupazione scende al 54%, ovvero solo una su due lavora. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) ha individuato l’espansione dei servizi per l’infanzia e la valorizzazione del lavoro femminile come priorità strategiche per ridurre questo divario. È proprio in questo contesto che nasce Retain, un progetto che mira a comprendere meglio come le politiche familiari influenzino le scelte di fecondità e occupazione.
Il progetto si articola in due linee di lavoro. La prima, “Ready to share?”, condotta da Eleonora Matteazzi del dipartimento di Scienze economiche Univr e Pamela Giustinelli dell’Università Bocconi, valuta in modo “ex ante” l’impatto potenziale di alcune riforme riguardanti le politiche familiari, in particolare l’introduzione di congedi parentali paritari e l’ampliamento dell’offerta di posti nido per lattanti (bambini sotto l’anno di età). I risultati mostrano che rendere disponibile il nido già nei primi mesi di vita del bambino aumenterebbe la probabilità di avere un figlio del 4,1% per le donne e dell’1,17% per gli uomini, e favorirebbe anche le nascite successive (+4,7% e +1,7%). L’introduzione di un congedo parentale paritario – come avviene già in Spagna – accrescerebbe ulteriormente la propensione alla genitorialità (+3,5% tra le donne e +1,5% tra gli uomini), oltre a riequilibrare la divisione dei ruoli familiari.
“Oggi – spiega Matteazzi – solo il 3-4% dei padri italiani utilizza il congedo facoltativo, contro il 54% delle madri. Un congedo paritario rappresenterebbe un passo decisivo per promuovere una reale condivisione delle responsabilità familiari e per sostenere la partecipazione femminile al lavoro”.
La seconda linea di ricerca, “Does expanding nursery places affect mothers’ employment?”, condotta da Ylenia Brilli e Lucia Schiavon di Ca’ Foscari assieme a Francesco Andreoli e Simona Fiore del dipartimento di Scienze economiche Univr, ha invece valutato “ex post” gli effetti del Piano straordinario per lo Sviluppo dei servizi per la prima infanzia (2007–2010), una misura da un miliardo di euro volta ad aumentare i posti disponibili negli asili nido. L’analisi, basata su dati comunali e su un campione di 1.500 madri italiane, mostra che dove l’offerta di nidi è aumentata, la probabilità per una madre di lavorare dopo la maternità è cresciuta di circa 15 punti percentuali. L’effetto è trainato soprattutto dal lavoro a tempo pieno e dal rientro nel proprio posto di lavoro precedente (+15 p.p.)
Anche le modalità di cura dei bambini cambiano sensibilmente: nei comuni che hanno investito nei servizi per l’infanzia, è diminuita di circa 16 punti percentuali la quota di madri che si occupano direttamente dei figli e di 20 punti percentuali quella di famiglie che si affidano ai nonni. Contestualmente, il ricorso al nido è cresciuto, riducendo le disuguaglianze territoriali e sociali.
“Investire nei nidi pubblici non è solo una politica sociale, ma una leva economica e di parità di genere – sottolinea Brilli –. Le madri tornano a lavorare in modo stabile e qualificato, con benefici per famiglie, imprese e per l’intero sistema Paese”.
SM
























