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Shakespeare in Dream, la danza contro i tabù dell’invecchiamento

Intervista a Michela Rimondini che traccia un bilancio dell’iniziativa inserita nel programma dell’Estate Teatrale Veronese

di Michele D'Andretta
24 Luglio 2025
in Attualità, Dai dipartimenti, Home Page
Credits: ARTE3

Si è concluso il 22 luglio al Bastione delle Maddalene con una performance coinvolgente il progetto “Shakespeare in Dream”, percorso di danza sperimentale ispirato al tema del sogno e rivolto a cittadini over 50 senza precedenti esperienze artistiche. Un laboratorio pensato per valorizzare il corpo che cambia, rafforzare il senso di comunità e promuovere il benessere psicofisico.

L’iniziativa è nata dalla sinergia tra Arte3 ed Estate Teatrale Veronese, con il sostegno del dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento dell’Università di Verona. Ideazione e coreografia portano la firma della danzatrice e regista Marcella Galbusera, affiancata da danzatori professionisti, drammaturghi, musicisti e ricercatori.

Abbiamo fatto un bilancio dell’iniziativa con Michela Rimondini, docente di Psicologia clinica, che ha curato la definizione progettuale del laboratorio e dello spettacolo, per capire più a fondo il valore e l’impatto dell’esperienza.

 

Professoressa Rimondini, qual è stato il ruolo del dipartimento di Neuroscienze, Biomedicina e Movimento all’interno del progetto? E in che modo si è sviluppata la collaborazione con gli altri enti coinvolti?

La collaborazione si è sviluppata in modo sinergico, integrando competenze artistiche, educative e cliniche per valorizzare il potenziale espressivo e trasformativo dell’esperienza. Ho avuto il piacere di collaborare con la referente del progetto, Marcella Galbusera, anche in precedenti occasioni, in cui per esempio abbiamo proposto attività di danza a persone con problemi neurologici. Questo ha permesso di creare tra noi una visione e un linguaggio comune che abbiamo messo a servizio dei danzatori al fine di favorire la loro espressione artistica. Inoltre avendo preso parte a parte delle sessioni laboratoriali, ho avuto modo di osservare e armonizzare alcune dinamiche di gruppo, valorizzando il contributo di ciascun partecipante.

La collaborazione con il Comune di Verona, nell’ambito dell’Estate Teatrale Veronese, ha rappresentato un ulteriore elemento qualificante del progetto, offrendo non solo un importante sostegno istituzionale, ma anche la splendida cornice naturale e architettonica del Parco della Provianda, che ha reso ancora più suggestiva la messa in scena dello spettacolo.

 

L’invecchiamento è spesso percepito come un tema scomodo o persino rimosso. Perché è importante affrontarlo e in che modo questo laboratorio ha contribuito a farlo?

Affrontare il tema dell’invecchiamento significa contrastare l’ageismo, ovvero la discriminazione basata sull’età, che tende a escludere, svalutare o ridicolizzare le persone attempate, soprattutto quando si cimentano in attività non conformi agli stereotipi associati a questa fase della vita. Il laboratorio, non ha però solo mirato a lanciare un messaggio destigmatizzante alla comunità, ma anche ai partecipanti stessi. Rompendo lo stigma interiorizzato e mettendo in discussione i propri limiti fisici, estetici ed espressivi autoimposti, i protagonisti di questa esperienza sono giunti a riscoprire risorse personali, emotive e relazionali.

 

La danza come linguaggio espressivo? Quali aspetti di questa disciplina si sono rivelati più efficaci nel raggiungere gli obiettivi progettuali?

Il progetto ha contribuito a smantellare pregiudizi legati al virtuosismo corporeo, creando uno spazio in cui la danza è diventata un mezzo per ascoltare ed esprimere il proprio mondo interno. Il lavoro fatto da Marcella Galbusera è stato di costante pulizia del gesto, al fine di cesellare su ogni partecipante, la vera essenza della loro presenza scenica. Questo ha rappresentato per il gruppo di danzatori/tri un grande atto liberatorio, che li ha spinti nella direzione dell’autenticità (e non dell’estetica del movimento!), affrancandoli così dai vincoli sociali e culturali, che purtroppo sempre più fortemente imbrigliano e svuotano qualsiasi esperienza della sua componente di significato. Una testimonianza da parte di un partecipante esprime con molta intensità questo concetto: “Mi ritrovo ad amare il gesto…mosso da emozione e sentimenti. Mi ha svegliato questo amore…questa occasione…di notte più volte. Gesto che diventa possibilità infinita di essere involucro di ombre, paure, limiti, forza, vitalità e speranza. Ho amato i vostri gesti i miei gesti…mi accompagnano…mi accompagneranno…come l’incontro con voi.”

 

C’è stato un riscontro particolare da parte del pubblico o dei partecipanti che vi ha colpito?

Mi ha colpito profondamente la tenacia e la determinazione delle persone che hanno scelto di mettersi in gioco, dedicando con generosità tempo, energie ed emozioni a un percorso così intenso e coinvolgente. Osservare come, nel tempo, si siano trasformati da singoli individui a un gruppo coeso e armonico, capace di sostenersi reciprocamente dentro e fuori la scena, è stata una conferma del valore di questo genere di iniziative, che seppur non rappresenti una sorpresa, ugualmente non manca mai di emozionarmi!

Altrettanto significativa è stata la risposta del pubblico: ogni serata ha registrato un’adesione calorosa, dimostrando quanto la nostra comunità abbia bisogno di proposte di welfare culturale, ovvero di iniziative che promuovano benessere individuale e collettivo attraverso l’arte, la partecipazione e la relazione. In questo senso, la cultura è da concepirsi non solo come un canale di accesso alla bellezza nel senso pieno del termine, ma anche come uno strumento concreto per costruire e valorizzare un senso di identità e appartenenza inclusivo, capace di rappresentare la molteplicità delle esperienze e delle realtà che compongono la nostra comunità.

SM

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