In questa edizione 2025 del Veronetta Contemporanea Festival, la rete di relazioni che l’ateneo ha tessuto con realtà del territorio veronese ha avuto due importanti conferme: Reverse e Panta Rei.
Come nel 2024 anche quest’anno, infatti, allestimenti e ristorazione sono stati affidati alle sapienti mani e menti di chi, negli anni, in città e altrove ha dato conferma di saper fare con il cuore coinvolgendo nei propri lavori persone indebolite dalla vita ma in cerca di riscatto.
“Ringraziamo ancora l’università di Verona per aver regalato alla città un Festival cosi ricco di iniziative e di averci coinvolti per la seconda volta. A Reverse da 12 anni ci occupiamo di progettazione e produzione responsabile ed inclusiva di allestimenti e arredi per spazi di lavoro e di vita – afferma Federica Collato, vice presidentessa di Reverse – Pensiamo al benessere delle persone e a favorire le relazioni e lo spazio curato per l’area talk incarnava perfettamente la nostra filosofia e gli intenti del Veronetta Contemporanea Festival nei vari momenti di ascolto e confronto, di scoperta e anche di sereno apprezzamento di quello che il contemporaneo, in forma di arte, ci dona”.
La presidentessa di Panta Rei, Elena Brigo, aggiunge che “portare il nostro chiosco a Veronetta Contemporanea è stato un segno concreto di partecipazione e inclusione”. La Cooperativa Sociale Panta Rei ha preso parte alla rassegna Veronetta Contemporanea Festival con un proprio chiosco di bevande e ristorazione, allestito all’interno del Polo Santa Marta. Un gesto semplice ma ricco di significato, come spiega ancora Brigo: “essere presenti in un contesto culturale e accademico come questo ha rappresentato per noi un’occasione preziosa per portare il nostro modello di impresa sociale tra le persone, mostrando come l’inclusione possa tradursi in pratiche quotidiane e accessibili a tutti”. Il chiosco è stato, infatti, gestito da lavoratori e lavoratrici coinvolti in percorsi di inserimento socio-lavorativo, tra cui persone con fragilità psichiatriche e detenuti e detenute del carcere di Verona, che attraverso il lavoro ritrovano dignità, relazioni e autonomia. “Siamo grati all’università di Verona per aver creato uno spazio di dialogo tra cultura, sociale e cittadinanza attiva”, conclude Brigo.