Una nuova frontiera nella lotta contro le malattie genetiche congenite si apre grazie a uno studio internazionale coordinato dall’Università di Milano e dall’Istituto Neurologico Carlo Besta, che ha visto tra i protagonisti anche l’Università di Verona. La ricerca ha sviluppato una procedura sperimentale minimamente invasiva per somministrare terapie geniche direttamente al feto durante la gravidanza.
I risultati, pubblicati sulla rivista Gene Therapy del gruppo Nature, rappresentano un potenziale cambio di paradigma nella medicina fetale: non solo diagnosi precoci, ma vere e proprie cure già durante la gestazione. Alla ricerca hanno partecipato anche il Policlinico di Milano, il centro Avantea di Cremona, la Ucl School of Pharmacy di Londra e l’Università di Verona, che ha offerto un contributo di rilievo nell’analisi post-natale dei risultati molecolari.
La procedura messa a punto sfrutta tecniche ecoguidate transaddominali, già utilizzate nella pratica clinica per interventi fetali, adattandole all’iniezione di vettori virali (in questo caso, Aav9) contenenti un gene marcatore (Gfp). Il test è stato condotto su feti di suino, la specie animale che per fisiologia si avvicina di più all’essere umano dopo il primate non umano. L’obiettivo era valutare sicurezza, efficacia e distribuzione del vettore nei vari organi fetali.
L’Università di Verona, con il laboratorio guidato da Emanuela Bottani, docente di Farmacologia del dipartimento di Diagnostica e sanità pubblica, ha avuto un ruolo centrale nell’analisi della biodistribuzione del vettore virale nei tessuti dei suinetti nati.
Attraverso analisi molecolari quantitative, Enrica Cappellozza, post-doc e Chiara Santanatoglia borsista ora affiliata all’Istituto Besta, hanno dimostrato che il gene iniettato raggiunge efficacemente diversi organi fetali, confermando il successo del metodo sviluppato. Un apporto cruciale per verificare il potenziale terapeutico reale della tecnica.
I risultati sono incoraggianti: nessuna risposta immunitaria avversa da parte del feto, nessuna infiammazione o complicanza né per i piccoli né per le madri. Inoltre, il sistema immunitario fetale, ancora immaturo, ha mostrato una tolleranza nei confronti del vettore virale, condizione favorevole per la ripetibilità e l’efficacia a lungo termine di future terapie. La barriera emato-encefalica, ancora permeabile in questa fase dello sviluppo, ha inoltre permesso al vettore di raggiungere il cervello, suggerendo la possibilità di trattare anche gravi patologie neurologiche prenatali.
Secondo i coordinatori dello studio, tra cui Dario Brunetti e Nicola Persico dell’Università di Milano, questa procedura riproduce fedelmente tecniche già consolidate nella medicina fetale e potrebbe essere trasferita nella pratica clinica in tempi più rapidi del previsto.
Tra le malattie a cui si guarda con speranza, ci sono le rare e devastanti malattie mitocondriali, come la Sindrome di Leigh. Ed è proprio su quest’ultima che si concentra un altro progetto del team veronese di cui abbiamo parlato in un articolo precedente pubblicato in Univrmagazine (leggi qui).
“Il nostro laboratorio è impegnato nello studio delle malattie genetiche rare del neurosviluppo – spiega Bottani -. Il nuovo progetto FIS2, di cui sono responsabile, prosegue questo filone. Sempre con gli stessi collaboratori di questo progetto appena concluso, analizzeremo lo sviluppo cerebrale fetale nel modello suino con Sindrome di Leigh per identificare le alterazioni neurologiche in utero e la finestra ottimale per somministrare una terapia genica mirata”.
SM