Il Premio Sveriges Riksbank per le scienze economiche in memoria di Alfred Nobel del 2025 è stato assegnato per metà allo storico economico Joel Mokyr (Northwestern University), per aver individuato le condizioni che rendono possibile una crescita economica duratura attraverso il progresso tecnologico, e per l’altra metà, congiuntamente agli economisti Philippe Aghion (Collège de France) e Peter Howitt (Brown University), per la loro teoria della crescita sostenuta fondata sulla distruzione creatrice.
Il lavoro di Joel Mokyr si inserisce nel grande e inesauribile dibattito sulle origini della Rivoluzione Industriale: perché proprio nell’Inghilterra del tardo Settecento ebbe inizio quel processo di crescita economica sostenuta, cumulativa e sistemica che pose le basi del capitalismo moderno e della ricchezza contemporanea? Per decenni si è insistito su spiegazioni di natura economica e materiale: l’abbondanza di carbone nel sottosuolo britannico, la vastità dell’impero coloniale, la debolezza delle corporazioni nel controllo del lavoro, gli alti livelli salariali, la crescente domanda di beni di consumo da parte della classe media, la ricchezza generata dalla tratta degli schiavi. Tuttavia, nessuna di queste letture regge senza chiamare in causa i profondi mutamenti tecnologici di quel periodo.
Per Mokyr, il punto decisivo è spiegare perché la tecnologia abbia iniziato ad accelerare nell’ultimo scorcio dell’età moderna e poi nell’Ottocento. Qui sta la sua intuizione, originale e potente: spostare l’attenzione sui mutamenti culturali e intellettuali che precedettero la Rivoluzione Industriale. Secondo lo storico israeliano-americano, il progresso tecnologico fu reso possibile da un nuovo atteggiamento verso la conoscenza (maturato tra Rivoluzione scientifica e Illuminismo) che trasformò il modo di pensare il rapporto tra sapere, natura e tecnica. Centrali furono la figura e le idee di Francis Bacon, secondo cui la conoscenza non doveva più essere contemplativa e fine a sé stessa, ma operativa, cioè uno strumento per comprendere e dominare la natura e realizzare «il sollievo della condizione umana». In questo contesto, il sapere “alto” degli scienziati cominciò a ibridarsi con il sapere “pratico” di specialisti, artigiani e tecnici, generando sapere utile, strumento per generare progresso materiale, e dunque crescita economica. Nel corso del Settecento, gli intellettuali illuministi ripresero e svilupparono il programma baconiano, diffondendo l’idea che il progresso materiale (che portava con sé anche progresso morale e sociale e temi come la giustizia e la libertà) fosse non solo possibile ma anche desiderabile. È quello che Mokyr definisce Illuminismo Industriale: un movimento culturale e filosofico convinto della possibilità e della desiderabilità del progresso e della crescita economica attraverso la conoscenza. Il risultato, raggiunto non senza difficoltà, fu un profondo cambiamento nell’agenda di ricerca degli intellettuali europei, che portò la conoscenza utile ad avere una posizione pari, se non prevalente, rispetto alle arti liberali. È proprio in questo periodo, per esempio, che i matematici iniziarono ad interessarsi di meccanica, ottica, progettazione navale, idraulica, mentre botanici e naturalisti iniziarono ad occuparsi di agricoltura, creando giardini modello, introducendo nuove colture e migliorando gli strumenti di gestione agricola.
In definitiva, secondo Mokyr, l’Illuminismo e la sempre maggiore amalgama tra sapere teorico e sapere tecnico furono la matrice culturale da cui germogliò la Rivoluzione Industriale: la continua accumulazione di conoscenza utile generò un flusso altrettanto continuo di progresso tecnologico che, a sua volta, alimentò e sostenne stabilmente la Rivoluzione Industriale.
I contributi di Aghion e Howitt si affiancano a quelli di Mokyr nell’obiettivo comune di comprendere la natura delle innovazioni tecnologiche e il loro ruolo nella crescita sostenuta delle risorse e del benessere. Le loro teorie rappresentano una pietra miliare dell’economia dello sviluppo, offrendo una chiave di lettura fondamentale sui meccanismi che determinano perché alcune economie prosperano più di altre.
In termini generali, l’economia dello sviluppo mira a comprendere quali siano i meccanismi economici che rendono alcune economie più prospere di altre – in termini di Prodotto Interno Lordo (PIL) pro capite e, più in generale, di benessere collettivo – e se tali differenze siano destinate a ridursi, persistere o ampliarsi nel lungo periodo. Tuttavia, l’analisi basata esclusivamente su dati macroeconomici (come PIL pro capite e tassi di crescita del PIL) fornisce indicazioni limitate, poiché tali variabili riflettono non solo i meccanismi strutturali in questione, ma anche l’impatto di shock esogeni e delle scelte di politica economica adottate dai singoli paesi.
Per isolare il ruolo dei fondamenti della crescita economica, gli economisti elaborano modelli matematici delle economie, con l’obiettivo di formalizzare le principali componenti di domanda, offerta e mercato, spesso difficili o impossibili da osservare direttamente, e di analizzare come esse interagiscono nel determinare variabili aggregate osservabili come PIL pro capite e tassi di crescita, spiegando le determinanti della loro variabilità tra paesi e nel tempo. I contributi di Aghion e Howitt si innestano in questa letteratura, che analizza le determinanti endogene della crescita economica.
I modelli elaborati da economisti come Paul Romer (Premio Nobel 2018) e Robert Lucas (Premio Nobel 1995) hanno mostrato che l’accumulazione di conoscenza, intesa come un fattore produttivo, può generare differenze nel PIL pro capite e nei tassi di crescita che persistono anche nel lungo periodo. Ciò implica che economie apparentemente simili per struttura e dimensione possano divergere nel tempo, in virtù di diversi meccanismi di produzione e valorizzazione della conoscenza. Alcune economie possono restare intrappolate in trappole della povertà, con basso PIL e scarse prospettive di crescita. Ne consegue che politiche economiche di breve periodo, pur potendo stimolare temporaneamente il PIL, sono spesso inefficaci nel promuovere una crescita sostenuta.
Il lavoro fondamentale di Aghion e Howitt (“A Model of Growth Through Creative Destruction.” Econometrica 60(2): 323-351, 1992) rafforza e approfondisce queste intuizioni, introducendo un elemento chiave delle economie capitalistiche: il processo di “distruzione creatrice” schumpeteriano. Le innovazioni industriali, originate dallo stock di conoscenze esistenti, vengono prodotte da imprese che competono attraverso ricerca e sviluppo e possono essere interpretate come beni intermedi, utilizzati dai produttori di beni finali per aumentare produttività e qualità. Ogni innovazione rende obsoleti i prodotti e i metodi di produzione precedenti. Le imprese innovano per ottenere rendite monopolistiche temporanee, che però si riducono man mano che nuove innovazioni emergono. Il modello mostra come aspettative elevate di innovazioni future possano ridurre gli incentivi a innovare oggi, generando molteplici equilibri: alcuni caratterizzati da crescita sostenuta, altri da stagnazione dove gli incentivi all’innovazione schiacciati dalle aspettative di crescente obsolescenza.
Il modello di Aghion e Howitt fornisce un’interpretazione pessimistica delle strategie di laissaiz faire, in certi contesti: non e’ ragionevole pensare che una economia riesca, attraverso i propri mezzi, ad uscire da una trappola di povertà, poiché i meccanismi che dovrebbero generare e sostenere la crescita economica nel lungo periodo sono gli stessi che prevengono la formazione di nuova conoscenza e quindi innovazione in tali economie. Il modello sottolinea quindi l’importanza di interventi di politica economica con obiettivi di lungo periodo, attuati attraverso un approccio “big push” su input che sono rilevanti per la produzione di innovazione. Il capitale umano, inteso come l’insieme di abilità e conoscenze complementari allo sviluppo tecnologico, è forse il più importante tra questi input. Le politiche dell’istruzione e della formazione continua, volte a costruire e mantenere il capitale umano, hanno un ruolo centrale in questo dibattito. Nelle economie più avanzate, come l’Italia, la discussione non si deve limitare solo ad aspetti di quantità e qualità delle politiche di istruzione, ma anche e soprattutto ad aspetti legati all’efficienza, all’equità e all’inclusività di tali politiche. Come evidenziato dai contributi di James Heckman (Premio Nobel 2000) e Raj Chetty, garantire pari opportunità di accesso alle competenze necessarie per partecipare attivamente alla trasformazione tecnologica indotta dalle recenti innovazioni, come l’intelligenza artificiale, è la sfida chiave delle economie moderne che intendono sostenere crescita economica e benessere anche nel lungo periodo.
Editoriale a cura di Mattia Viale, Francesco Andreoli e Commissione Comunicazione, Dipartimento di Scienze Economiche, Università di Verona




























