I sistemi sanitari di tutto il mondo stanno affrontando un paradosso: hanno come obiettivo di fondo quello di garantire la salute e il benessere di tutti i cittadini, ma allo stesso tempo rappresentano uno dei settori più inquinanti, con effetti sulla salute dei cittadini stessi.
Questa la premessa, partendo dalla quale, l’organizzazione internazionale Heathcare without harm ha sviluppato una roadmap che permetta di condurre i sistemi sanitari ad avere impatto zero sull’ambiente nel 2050.
Sfida ambiziosa, da guardare sotto un approccio multidisciplinare, come evidenzierà il convegno in programma sabato 28, nell’aula magna De Sandre dell’Ospedale di Borgo Roma, dal titolo “La sostenibilità ambientale ospedaliera: l’ospedale, la sala operatoria e la terapia intensiva”, promosso dall’ateneo di Verona e dall’Azienda ospedaliera scaligera, con responsabili scientifici Enrico Polati, direttore della sezione di Anestesia e rianimazione dell’ateneo e della Anestesia e rianimazione B dell’Aoui scaligera, e Simone Priolo, dirigente medico di Anestesia e rianimazione B.
“Il prossimo futuro, che per me è già il presente”, ha spiegato il Magnifico Rettore Pier Francesco Nocini, che ha portato i saluti di apertura, “ci vedrà sempre più impegnati nello studio della robotica come grande opportunità del cambiamento. Le ricerche più recenti mostrano, infatti, l’impatto positivo della chirurgia robotica sugli outcome di salute ma anche un impatto ambientale inferiore rispetto agli standard in uso. Per questo, in questi anni, ho voluto fortemente che nell’ateneo e nella nostra Azienda ospedaliera, si sviluppassero conoscenze e competenze innovative in questo ambito, grazie ai nuovi corsi di laurea che abbiamo attivato e grazie alla nascita del DIMI che ha tutte le potenzialità per diventare un punto di riferimento per la ricerca e la formazione in questo settore in Italia”.
I dati forniti da Healthcare Without Harm evidenziano, infatti, che il settore sanitario si colloca tra i principali responsabili dell’emergenza climatica con un’impronta di carbonio pari al 4,4% delle emissioni globali, il che corrisponde a 2 gigatoni (Gt) di anidride carbonica, equivalente a quello prodotto da oltre 500 centrali a carbone. In altre parole, se il settore sanitario globale fosse uno stato, sarebbe il quinto per emissioni nette di Co2. Nel caso Europeo questo dato raggiunge il 4,7%. Se guardiamo all’Italia, possiamo dire che le emissioni procapite dovute al sistema (421 kg CO2 eq/ procapite) siano le più elevate rispetto agli altri Paesi mediterranei.
“Perché un convegno sul tema La sostenibilità ambientale ospedaliera: la sala operatoria, la terapia intensiva? Perché si stima che le sale operatorie e la terapia intensiva generino più di 1/5 dei rifiuti ospedalieri e consumino 3-6 volte più energia rispetto al resto dell’ospedale”, spiega Polati. “Rispetto ai green hospital si può affermare, senza tema di smentita, che in Italia siamo all’anno zero ed è pertanto necessario implementare a livello multidisciplinare delle strategie che consentano una transizione verso sistemi sanitari sostenibili dal punto di vista dell’impatto ambientale. E lo scopo di questo convegno è favorire la formazione del personale sanitario al fine di promuovere la sostenibilità ambientale delle strutture ospedaliere”.
Considerato che la spesa del settore sanitario dell’UE rappresenta circa il 10% del PIL, il settore ha una forte influenza etica ed economica che può fare la differenza.
“Da dove cominciare? Dagli ospedali”, spiega Chiara Leardini, direttrice del dipartimento di Management dell’ateneo scaligero e coordinatrice del gruppo di ricerca “Healthcare management” impegnato in ricerche sulla carbon footprint degli ospedali a livello nazionale e internazionale. “Gli ospedali sono energivori: funzionano 24 ore su 24, sette giorni su sette. Sono tra i principali responsabili dell’elevato consumo di energia e acqua generando ingenti quantità di rifiuti e di emissioni. E all’interno degli ospedali le sale operatorie consumano da 3 a 6 volte più energia rispetto ad altre zone della struttura ospedaliera”.
Sono tanti, infatti, gli aspetti da considerare, come il fatto che gli ospedali sono poli di grande attrazione per il traffico, che producono molti rifiuti, non sempre ben differenziali, gli scarti alimentari generati dai pasti e dalle mense, l’energia utilizzata dalle sale operatorie.
Oggi, quindi, i manager ospedalieri sono chiamati ad una nuova sfida: non solo gestire la performance clinica e quella finanziaria ma anche la performance ambientale.
Le pratiche manageriali sul reperimento e consumo dell’energia, sull’acquisto dei farmaci e dispositivi, sulle scelte di organizzazione dei servizi sanitari e delle modalità di erogazione delle prestazioni, rappresentano un punto di partenza essenziale per accompagnare la transizione green degli ospedali italiani.
Sono 7 le aree di intervento individuate per raggiungere l’obiettivo ospedali a impatto zero: l’utilizzo di energie rinnovabili, l’investimento in strutture e infrastrutture a basso impatto ambientale, l’utilizzo di mezzi di trasporto a zero emissioni, l’utilizzo nelle mense di cibi maggiormente sostenibili, la predilezione per farmaci realizzati con tecniche a basso impatto ambientale, attenzione a ridurre gli sprechi, adottare un sistema di gestione dell’ospedale ad alta efficienza.
“La sfida per il futuro è grande”, conclude Leardini, “e serve una strategia green a livello aziendale che combini le diverse aree di intervento. Per questo sarà importante formare i futuri manager ospedalieri, sulle varie dimensioni della sostenibilità. Considerando che l’efficacia clinica deve rimanere il focus di ogni scelta, la dimensione ambientale deve essere valutata nelle scelte di investimento tecnologico. Si pensi all’introduzione della telemedicina e della chirurgia robotica che secondo alcuni studi mostrano un impatto positivo sugli outcome di salute e anche un impatto ambientale inferiore rispetto agli standard”.
Oggi, quindi, il medico, il cui primo intento professionale è quello di non arrecare danno al paziente, deve sempre più considerare nelle scelte legate alla pratica clinica non solo l’appropriatezza dei percorsi diagnostici e terapeutici ma anche l’impronta di carbonio che essi determinano, questo per minimizzare l’impatto ambientale che grava sulla salute di tutti noi.
Elisa Innocenti