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Il trattamento con anticorpi monoclonali può portare a mutazioni di Sars-CoV-2

Sviluppato dai ricercatori del progetto Orchestra, coordinato dall’ateneo di Verona, un test per identificare i pazienti a rischio

di Elisa Innocenti
9 Febbraio 2023
in Attualità, Ricerca e innovazione, Senza categoria

Nei pazienti trattati con anticorpi monoclonali si può sviluppare una risposta anti-infiammatoria specifica che facilita il virus Sars-CoV-2 a sviluppare mutazioni evasive della proteina spike. Questo significa che il virus può sviluppare resistenza agli anticorpi monoclonali in maniera simile ai batteri che sviluppano resistenze agli antibiotici.

Questo è emerso dallo studio “La risposta immunitaria del paziente trattato con anticorpi monoclonali può facilitare lo sviluppo di mutazioni genetiche di SARS-CoV-2“, condotto nell’ambito della collaborazione tra l’università di Verona e quella di Anversa, in Belgio, all’interno del progetto europeo Orchestra (Connecting european cohorts to increase common and effective response to SARS-CoV-2 pandemic), coordinato dall’ateneo scaligero e finanziato con fondi europei del programma Horizon 2020. La ricerca è stata pubblicata in pre print sulla rivista “The Journal of Clinical Investigation”. Inoltre, ed è il risultato più importante dello studio, gli autori hanno sviluppato un algoritmo che identifica precocemente i pazienti nei quali il virus può sviluppare mutazioni.

Gli anticorpi monoclonali riducono in maniera significativa il rischio di sviluppare forme gravi di Covid-19 e vengono utilizzati nei pazienti ad alto rischio non vaccinati o immunocompromessi, affetti da neoplasie o sottoposti a trapianto. Gli anticorpi monoclonali forniscono, in questi pazienti, una risposta immunitaria rapida ad una specifica variante di virus che il singolo paziente non è in grado di sviluppare da solo. I ricercatori di Orchestra hanno ora scoperto che il trattamento potrebbe essere in grado di favorire mutazioni del virus Sars-CoV-2 come risposta alla sostanziale pressione immunitaria creata dal trattamento con monoclonali, congiunta alla risposta immunitaria del paziente.

Nello studio clinico condotto all’università di Verona e guidato dalla professoressa Evelina Tacconelli, direttrice della sezione di Malattie Infettive e coordinatrice del progetto Orchestra, sono stati studiati pazienti ad alto rischio di sviluppo di Covid-19 severo che hanno ricevuto una terapia con anticorpi monoclonali. L’analisi delle varianti virali, eseguita nel laboratorio di Microbiologia medica dell’università di Anversa della professoressa Surbhi Malhotra, mostra come nell’8% circa dei pazienti trattati con monoclonali il virus  sviluppa mutazioni evasive della proteina spike con notevole velocità. Mentre la maggior parte dei pazienti eliminano il virus nel tempo, i pazienti immunocompromessi hanno una carica virale significativamente più alta per periodi più lunghi e una probabilità 3 volte più alta che il virus sviluppi mutazioni evasive della proteina spike.

Gli autori dello studio hanno quindi sviluppato un algoritmo in grado di predire con il 96% di precisione in quali pazienti è più alto il rischio di mutazioni evasive alla terapia con anticorpi monoclonali usando una combinazione di esami immunologici, misurati nel sangue del paziente prima dell’inizio della terapia con anticorpi monoclonali.

“Lo studio fornisce dati innovativi utili nella selezione di pazienti ad alto rischio per trattamenti precoci”, spiega la professoressa Tacconelli, “e ci permette di mantenere alta l’efficacia dei monoclonali utilizzandoli solo nei pazienti che ne possono avere un beneficio. Riteniamo che l’utilizzo di monoclonali sulla base delle varianti circolanti e della corretta selezione dei pazienti da trattare riduce non solo la mortalità da Covid-19 ma anche il rischio di Long- Covid”.

“È stato interessante scoprire che nello sviluppo delle mutazioni evasive, non contano solo la capacità neutralizzante dei monoclonali e il sistema immunitario del paziente, ma anche l’intero processo di guarigione”, prosegue il professor Samir Kumar-Singh, co-autore dello studio e direttore del gruppo di Patologia molecolare nel laboratorio di Biologia cellulare e Istologia dell’università di Anversa, che ha supervisionato gli studi della risposta dell’ospite.

L’algoritmo sviluppato potrà aiutare nel prendere decisioni a livello del singolo paziente per ridurre il rischio di fallimento del trattamento con monoclonali, permettendo ai pazienti di ricevere altre opzioni terapeutiche, come ad esempio antivirali orali. L’applicazione dell’algoritmo potrà inoltre migliorare le strategie di riduzione del rischio, diminuendo la possibile circolazione di mutazioni evasive di Sars-CoV-2, specialmente tra contatti stretti ad alto rischio dei pazienti con Covid -19.

Il progetto Orchestra (orchestra-cohort.eu), coordinato dalla professoressa Tacconelli e dal suo team dell’università di Verona, è finanziato dal programma Horizon 2020, iniziativa europea di ricerca e innovazione, ed è iniziato a dicembre 2020 con l’obiettivo di comprendere diversi aspetti clinici della pandemia da SARS-CoV-2. Partecipano a questo progetto 37 partner da 15 paesi, che insieme hanno istituito un’infrastruttura di analisi con standard comuni. Tra i principali obiettivi, l’identificazione di predittori clinici e di laboratorio per ridurre ospedalizzazione e gravità di Covid-19 e prevenire il Long-Covid.

Doi: https://doi.org/10.1172/JCI166032

 

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