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I cento anni di Maria Callas

L'editoriale di Vincenzo Borghetti, docente di Musicologia e Storia della musica di ateneo

di Elisa Innocenti
30 Gennaio 2023
in Attualità

Tutto iniziò a Verona. Era il 27 giugno del 1947 quando un soprano ventiquattrenne di nome Maria Callas si esibiva con successo all’Arena nella Gioconda di Amilcare Ponchielli.

A Verona Callas arrivava con alle spalle le esperienze operistiche nell’Atene occupata durante gli anni durissimi della Guerra (1941-1945) e in alcuni teatri americani nei due anni successivi (1945-1947). Ma è da quella Gioconda veronese che le cose cambiarono per lei in modo radicale e repentino. Dopo l’Arena, nel giro di pochi mesi ci sarebbero state le scritture alla Fenice di Venezia (Tristano e Isotta–in italiano, come usava allora), all’Opera di Roma (Turandot), al San Carlo di Napoli (Nabucco), al Massimo di Palermo (La Valchiria), di nuovo alla Fenice (I puritani), poi al Maggio musicale fiorentino, alla Scala e via via presso i maggiori teatri tra Europa e Americhe, in un repertorio che si faceva sempre più vasto, ricercato e sorprendente. Vasto e sorprendente perché la sua voce giunonica era a suo perfetto agio anche nei ruoli di agilità, versatile in modi all’epoca sconosciuti: Callas era Isotta ed Elvira (Puritani), Aida e Lucia (di Lammermoor), Brunilde (Valchiria) e Violetta (Traviata), Turandot e Amina (Sonnambula). Ricercato perché proprio per queste sue caratteristiche a Callas si deve il ritorno in auge di ruoli per l’appunto anfibi, drammatici e scattanti insieme come Medea (Cherubini), Armida (Rossini), Imogene (Il pirata, Bellini), Anna Bolena (Donizetti), Abigaille e Lady Macbeth (Nabucco e Macbeth, Verdi).

Basterebbe questo brevissimo profilo biografico e artistico per giustificare l’attenzione che il pubblico dell’opera riserva a Maria Callas da quel 1947. Il suo nome è infatti entrato presto tra quelli ‘imperdibili’ che popolano l’Olimpo del melodramma, una serie di divinità il cui culto è tenuto in vita da un gruppo di devoti appassionati, ma che potrebbero essere sconosciute forse anche a chi la lirica oggi un po’ pure la segue. Non è questo il caso di Maria Callas, ovviamente. Se così fosse, nessuno, immagino, avrebbe pensato nel 2023 di commissionare un articolo per il magazine dell’Università di Verona in occasione del centenario della nascita, nonostante l’importanza di una carriera che proprio in città prese il volo (e dove per anni la cantante avrebbe abitato in seguito al matrimonio con l’imprenditore Giovanni Battista Meneghini). Succede, invece, perché Maria Callas è sì una diva, ma non lo è solo dell’opera, è una diva e basta. Il suo enorme talento musicale e drammatico le ha assicurato la fama per cui il mondo della lirica giustamente la ricorda e la ama, come fa con tutte le grandi interpreti del passato.

Ma Maria Callas ha fatto qualcosa di diverso rispetto alle altre ‘grandi’ del melodramma: come nessun’altra si è appropriata dei linguaggi del divismo moderno. Per questo non sono sufficienti i grandi teatri e i grandi successi: servono copertine, immagini, storie, come quelle delle dive moderne, quelle del cinema. Maria Callas diventa una di loro (assume le forme e l’eleganza sofisticata di Audrey Hepburn), vive come una di loro (frequenta il jet-set internazionale, le loro ville, le loro feste), come una di loro ama, soffre (la storia d’amore infelice con Aristotele Onassis), e, bella di fama e di sventura, muore giovane e sola (a 54 anni, a Parigi). E soprattutto, come le dive del cinema, la sua arte vive nei media, anche se non nel cinema. Maria Callas ha avuto l’intelligenza di capire che se a teatro ti vedono in molti, coi dischi ti ascoltano in molti di più, e ti riascoltano e ti riascoltano e ti riascoltano. È attraverso i dischi prodotti in esclusiva per la EMI che il soprano dei grandi teatri diventa un fenomeno globale e durevole, raggiungendo così un pubblico incommensurabilmente più vasto di quello che avrebbe mai potuto vederla dal vivo. Maria Callas cantava per loro: nei suoi dischi il pubblico trovava non il riflesso sbiadito di un’esperienza irriproducibile fuori dal teatro, bensì tutta la sua arte scenica e musicale mediata attraverso l’ascolto. L’uso consapevole delle specificità del disco, con le sue derivazioni forse il medium musicale per eccellenza, ha fatto di Callas l’epitome del teatro d’opera moderno, una voce-icona, una figura importante quindi per la storia della cultura contemporanea, nel senso più alto e più ampio dell’espressione. Ed è per questo che nel 2023 celebriamo, a Verona a non solo qui, il centenario della sua nascita.

Vincenzo Borghetti, docente di Musicologia e Storia della musica nel dipartimento di Culture e civiltà

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