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Come affrontare l’emergenza sanitaria dal punto di vista psicologico?

L'intervista a Mirella Ruggeri, ordinario di Psichiatria dell'ateneo

di Roberta Dini
23 Marzo 2020
in Attualità

Intervista a Mirella Ruggeri, ordinario di Psichiatria all’università di Verona, direttore della Clinica psichiatrica dell’Azienda ospedaliera universitaria integrata di Verona e della Scuola di specializzazione in Psichiatria e presidente della International Federation of Psychiatric Epidemiology (IFPE).

Professoressa Ruggeri, il Coronavirus sta spaventando la popolazione, come affrontare l’emergenza senza farsi prendere dal panico?

In situazioni epidemiche del tutto nuove come quelle che si stanno vivendo è normale avere paura e provare sensazioni di panico. Occorre tuttavia fare il massimo ricorso alla propria razionalità in quanto il panico non diminuisce il pericolo ma bensì lo aumenta e induce scelta frettolose e sfocate, ansia per sé e i propri cari, ricerca di rassicurazioni, controllo continuo delle informazioni, tendenza a prendere per buone le “fake news”. Si viene sommersi da informazioni allarmistiche di ogni tipo sul Coronavirus che inducono un “allarme psicologico permanente” che tende a distorcere e aumentare il “rischio percepito” in un circolo vizioso senza fine. Al contrario è invece fondamentale basarsi solo su fonti ufficiali, aggiornate e accreditate e convertire il panico e la preoccupazione nella applicazione tenace dei comportamenti che vengono raccomandati in quanto in grado di abbattere il rischio

Il fatto di dover stare in casa può creare situazioni di stress, come reagire?

L’epidemia del Coronavirus – oramai diventato un grande esperimento sociologico – sta rivoluzionando la nostra quotidianità e il nostro senso di sicurezza al punto da alimentare numerose situazioni stressanti. Considerati i molteplici fattori di rischio presenti nel corso delle epidemie risulta particolarmente importante agire in modo da ridurre i fattori stressanti e in ogni caso averne una piena comprensione. Il primo elemento da considerare per ridurre lo stress è mantenere– dentro le mura di casa nel momento in cui le uscite sono fortemente ridotte, se non inibite – un ritmo e un fluire di azioni che diano senso e significato alle giornate. Dal punto di vista comportamentale e’ particolarmente importante: 1) non alterare il ritmo sonno-veglia ed evitare di aumentare le ore di sonno globale; 2) mantenere una attività fisica costante; 3) controllare la qualità e la quantità dell’alimentazione; 4) mantenere una routine giornaliera che preveda obiettivi quotidiani da raggiungere. Molte sono le attività che possono essere svolte con piacere e utilità dentro le mura domestiche: cucinare nuove ricette; coltivare hobby trascurati; approfittare per sistemare l’assetto domestico; riscoprire il piacere della lettura. Vista l’incipiente stagione primaverile per quanto possibile approfittare del risveglio primaverile per occuparsi delle piante. E’ dimostrato che l’ineludibile passare delle stagioni interferisce in maniera importante con l’umore. Nell’attuale circostanza il risveglio delle piante aiuta a meditare su quanto l’uomo non sia altro che piccola cosa in un meccanismo cosmico che lo sovrasta e al contempo – meravigliosamente – lo allieta. Va anche sottolineato che un evento stressante può diventare catalizzatore di una nuova prospettiva verso la vita, che favorisca un più profondo contatto con se stessi. In una società che per molti versi ci induce a orientare le nostre aspirazioni su conquiste di beni materiali trasformando il successo, il denaro, l’immagine in valori prioritari, essere obbligati a fermarci  può favorire un ritrovare  se stessi, indurre  a domandarsi cosa è veramente importante e in sintesi  a riflettere sui propri profondi bisogni ed obiettivi.

La convivenza continua e forzata con gli altri familiari può creare tensioni, come affrontarle?

Uno dei problemi legati alla necessità di “stare a casa” è che spesso si è costretti a convivere in spazi ridotti con persone non gradite, o addirittura – nel caso di coppie in crisi – dover gestire menage estremamente conflittuali. D’altronde va compreso che tensioni e incomprensioni fanno parte della vita di molte famiglie, e che il male minore resta un esercizio alla tolleranza.

Un’altra criticità che riguarda i genitori– accentuata dalla chiusura delle scuole – è la difficoltà di spiegare ai bambini in maniera appropriata che cosa sta succedendo. Genitori calmi e rassicuranti, pur non nascondendo la situazione, potranno trovare modi per informare i bambini e facilmente rileveranno che i bambini hanno una elevata capacità di adattamento. Mantenere nelle loro attività una routine, alternare momenti di condivisione a momenti di solitudine ed autonomia, sono strategie che possono avere un utile impatto sullo sviluppo del bambino. Anche situazioni drammatiche come quelle in atto possono costituire una importante occasione educativa per condividere con i bambini l’importanza di accettare momenti ed emozioni negative, e di dar loro la forza di passarvi attraverso. Processo che poi è auspicabile si attui non solo con i bambini, ma anche in ogni altro ambito delle nostre vite.

Con gli adolescenti l’isolamento forzato può essere particolarmente difficile soprattutto per coloro che sono in una fase di ribellione e criticità verso i genitori.  Pazienza e tolleranza, capacità di ascolto possono tuttavia essere armi fondamentali.  I social – che spesso sono stati strumenti di aggressione e violenza – ora quasi miracolosamente   diventano non solo un modo per scandire le giornate del “io resto a casa” ma diventano per la “generazione coronavirus”, per “questi cittadini del mondo” anche il metodo privilegiato per la condivisione delle esperienze e  per un abbraccio che più che virtuale finisce col diventare vera e profonda vicinanza. Infine, anche nel caso degli adolescenti questa esperienza di limitazione della libertà può diventare  un modo per dar loro una diversa libertà, fatta di una fratellanza solidale, dominata dalla certezza che “nessuno si salva da solo”.

Chi soffre di patologie mentali o è a rischio depressione deve essere maggiormente attenzionato?

Lunghi periodi di quarantena – o anche solo l’obbligo di restare chiusi in casa  possono determinare un aumento dei casi di ansia, paura del contagio e disturbo post-traumatico da stress, che nel breve potrebbero aumentare. Più difficile è invece anticipare gli effetti a lungo termine, che dipenderanno anche dalle condizioni di partenza dei singoli. Uno studio pubblicato nel mese di marzo dalla rivista The Lancet da un gruppo di ricercatori del King’s College di Londra che ha analizzato 24 studi – condotti durante precedenti epidemie: come quelle della Sars, dell’H1N1, della Mers e di Ebola – ha rilevato che le conseguenze più di frequente rilevabili tra le persone sottoposte a una simile misura restrittiva sono frustrazione, noia, isolamento. Ma anche paura, rabbia, insonnia e difficoltà di concentrazione.

Pur non differenziando i singoli in base allo stato di salute di partenza, i ricercatori hanno osservato che disturbi quali l’ansia, la depressione, l’irritabilità e il disturbo post-traumatico da stress possono durare anche per mesi, dopo la fine della quarantena, o della costrizione. Conseguenze che possono riguardare pure, se non soprattutto, gli operatori sanitari, chiamati a compiere gli straordinari. La paura delle conseguenze dell’epidemia, la riduzione dei contatti sociali e fisici, il senso di coercizione all’interno di spazi limitati, l’insicurezza, il trauma dei parenti delle vittime del Covid-19 impossibilitati a dare l’ultimo saluto ai propri congiunti e la percezione di un futuro a tinte fosche possono favorire l’instaurarsi di disturbi psichici. Per questi cittadini e per gli operatori sanitari sarà fondamentale avviare precocemente iniziative di supporto che aiutino la rielaborazione delle tragedie avvenute. E la comunità che oggi nel contesto italiano sta dimostrando solidarietà, orgoglio, coraggio e resilienza potrà avere un importantissimo ruolo per lenire le ferite prodotte dall’epidemia.

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