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Nuove abitudini di consumo per incentivare la produzione di bio-plastiche dai rifiuti organici

Pubblicata sulla rivista Science for Environment Policy una ricerca coordinata dall’ateneo scaligero

di Roberta Dini
4 Dicembre 2019
in Ricerca e innovazione

Il consumatore, per incentivare un modello di economia circolare, sarebbe favorevole all’acquisto di prodotti biologici derivanti da rifiuti alimentari? Questa la domanda che il team della ricerca “Circular economy: consumer attitudes to products made from urban bio-waste” si è posto. Lo studio, coordinato da Ivan Russo e Ilenia Confente, del dipartimento di Economia aziendale, diretto da Federico Brunetti, insieme all’università di Bologna e all’university of Applied sciences upper in Austria, è stato pubblicato sulla rivista della Commissione Europea “Science for Environment Policy”. Il progetto, finanziato con fondi europei, è nato sulla base di una collaborazione con i colleghi del dipartimento di Biotecnologie dell’università di Verona, coordinati da David Bolzonella, docente di dipartimento diretto da Paola Dominici.

Base della ricerca è stato un esperimento online su consumatori britannici, il cui intento era volto a comprendere la percezione dei prodotti derivanti da bio-plastica e l’intenzione di acquisto. La ricerca è stata, inoltre, inviata a 22,000 policymakers, accademici e managers in Europa per supportare lo sviluppo di politiche basate su evidenze sperimentali.

Il risultato raggiunto fa parte del progetto di ricerca europeo Res urbis (REsources from URban Bio-Waste), un programma di ricerca e innovazione finalizzato a sviluppare una filiera innovativa per la valorizzazione integrata dei diversi scarti organici di origine urbana, come i rifiuti municipali, il rifiuto organico, e contribuire al piano di riduzione avanzato dalla Comunità Europea nel settore della bio-plastica e dell’economia circolare.

“Premessa della ricerca – spiega Russo – è stata la concentrazione di rifiuti organici nella produzione annuale di 300 milioni di tonnellate di spreco alimentare, con particolare concentrazione nelle città metropolitane a più alta densità urbana. Si tratta, per esempio, di circa 107 kg pro-capite per l’Italia di rifiuti organici recuperati che provengono da rifiuti e scarti alimentari solidi (ad esempio provenienti da abitazioni private, ristoranti, aziende di catering, punti vendita al dettaglio, ecc.). L’ambizione del progetto Res Urbis dal quale poi deriva la ricerca pubblicata, è risultata quella di poter processare e trasformare in bio-plastica biodegradabile il rifiuto organico alimentare, quindi dallo spreco, al recupero, trasformazione e produzione di un nuovo prodotto biodegradabile”.

L’intento dei ricercatori era chiedersi se fosse possibile far diventare lo scarto e spreco alimentare il nuovo petrolio di domani per produrre prodotti in bioplastica. La possibilità di sostituire gli attuali prodotti a base fossile, come i prodotti in plastica, in prodotti in bioplastica derivanti dal scarto alimentare e organico sarebbe estremamente coerente con il recente progetto della Commissione Europea, la cosiddetta “European plastic strategy”, che definisce dettagliatamente il percorso lungo cui muoversi per individuare delle soluzioni a questo urgente tema. “I possibili benefici sarebbero molto rilevanti per la sostenibilità ambientale – prosegue Russo – dato che oggi sono circa 350 milioni le tonnellate di plastica prodotte nel mondo e purtroppo, tale produzione su larga scala e il relativo smaltimento dei materiali plastici non sono a somma zero per l’ambiente in cui viviamo. Utilizzare i rifiuti organici per produrre plastica ecocompatibile certamente aiuterebbe a minimizzare i noti problemi legati in particolare al fine vita dove, per esempio, in Europa solamente il 14% circa di questi materiali, a fine vita, è raccolto separatamente e riciclato in qualche forma mentre il resto viene disperso, smaltito in discarica o incenerito, generando ulteriori emissioni di CO2”.

Al fine di rendere utili i risultati della ricerca è risultato indispensabile verificare se i clienti finali fossero effettivamente disponibili ad acquistare prodotti derivanti dal recupero e trasformazione dello spreco di cibo in bioplastiche oppure li percepissero disgustosi, pericolosi o poco affidabili.

“I risultati emersi – conclude Russo – sono estremamente incoraggianti nell’intenzione di cambiare abitudini di consumo da parte dei consumatori verso prodotti derivanti da rifiuto organico. Alcuni segmenti, in particolare i senior attenti all’ambiente, si sono dimostrati particolarmente disponibili verso questi nuovi prodotti; è stata anche verificata la disponibilità a corrispondere un premium price per l’acquisto di questa tipologia di prodotti derivanti da rifiuto organico. Data la buona predisposizione del consumatore finale all’acquisto di prodotti in bio-plastica è necessario attivare dei modelli organizzativi e di supply chain di tipo circolare (closed loop supply chain) dove lo spreco (in questo caso, il rifiuto organico) diventa la materia prima per dare vita a nuovi prodotti e riducendo l’utilizzo di materie prime a base fossile. Queste evidenze sono di buon auspicio per imprese e policy maker per proseguire verso un percorso di innovazione dei modelli di business”.

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