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Svelato il meccanismo con cui le piante hanno imparato a non sprecare energia

La ricerca condotta da un team multicentrico è stata pubblicata su Nature Plants

di univr
30 Agosto 2016
in Ricerca e innovazione

Pubblicata su Nature Plants una ricerca che chiarisce una questione chiave del funzionamento delle prime fasi della fotosintesi. Gli scienziati al lavoro tra il dipartimento di Biotecnologie dell’Università di Verona, il dipartimento di Fisica del Politecnico di Milano e il Cnst dell’Istituto Italiano di Tecnologia, hanno scoperto il meccanismo con cui le piante hanno imparato con l’evoluzione a non sprecare energia. Proveranno a insegnarlo alle alghe per renderle altamente efficienti per la produzione di biocombustibili.

La fotosintesi garantisce la vita sulla terra. Questo processo non solo permette alle piante di crescere, assorbendo CO2 e trasformandola in zuccheri attraverso l’energia della luce, ma produce l’ossigeno indispensabile alla respirazione e combustione di tutti gli altri organismi. Autori della ricerca, sono Mauro Bressan, Luca Dall’Osto, Roberto Bassi e  Matteo Ballottari dell’Università di Verona, Ilaria Bargigia e Marcelo Alcocer dell’IIT e Daniele Viola, Giulio Cerullo e Cosimo D’Andrea del Politecnico milanese. A partire dagli studi condotti dai biotecnologi veronesi sul miglioramento della produzione di biomassa di piante e alghe e grazie al coinvolgimento dei fisici del Politecnico e dell’IIT, specialisti nella misurazione di eventi ultrarapidi con strumentazione laser, gli scienziati hanno potuto analizzare con grande precisione l’assorbimento della luce da parte delle piante e la sua trasformazione in energia chimica, un processo che si svolge in tempi misurabili in picosecondi (millesimi di miliardesimi di secondo). I fotoni vengono, infatti, assorbiti da strutture molecolari chiamate antenne che trasferiscono l’energia ai centri di reazione, fotosistemi, che la usano per estrarre elettroni dall’acqua e trasportarla alla CO2. Questa viene così trasformata in zuccheri e poi biomassa.  I fotosistemi  sono due PSI (fotosistema 1) e PSII (fotosistema 2). Questi lavorano  in tandem, ma ciascuno ha una proprio antenna con caratteristiche e capace di assorbire la luce ben distinte.

“Dato che il PSI è molto più efficiente del PSII (97% contro 82%) – spiega Roberto Bassi, coordinatore del team scaligero – siamo partiti dal presupposto che questo fenomeno fosse dovuto alle particolari caratteristiche strutturali dell’antenna del PSI, in grado di immagazzinare l’energia e fornirla al suo fotosistema quando fosse in grado di utilizzarla, senza disperderla. Per verificare questa ipotesi gli scienziati hanno prodotto piante in cui il PSI manca del suo sistema antenna. La pianta, in questo caso ne compensa la mancanza utilizzando l’antenna del PSII. Si è quindi potuto comparare un PSI che utilizza l’antenna del PSII per assorbire la luce e compararne l’efficienza nell’uso dell’energia rispetto al PSI naturalmente presente. “Sorprendentemente, il nuovo PSI dotato dell’antenna  proveniente dal PSII – aggiunge Giulio Cerullo, coordinatore del team del Politecnico di Milano – si è dimostrato ancora più efficiente dello stesso centro di reazione dotato della sua naturale antenna.  Ciò significa che esso deve pagare un prezzo in termini di efficienza quando utilizza la propria antenna piuttosto che quella del PSII. Questa è la ragione per cui le alghe unicellulari più primitive, che utilizzano antenne molto simili per PSI e PSII sono meno efficienti. 

Per spiegare questo apparente controsenso nel comportamento evolutivo delle piante i ricercatori hanno notato che, mentre un organismo unicellulare che riceve fotoni da tutte le direzioni ha a disposizione la stessa luce per il PSI e per il PSII, negli organismi pluricellulari la qualità della luce cambia a seconda dello strato cellulare in cui si trovano i fotosistemi. Questo accade perché gli strati cellulari superiori, con il loro contenuto in clorofilla sottraggono agli strati inferiori proprio i fotoni che vengono meglio assorbiti dalle antenne fotosintetiche. “È quello che accade all’interno delle foglie  – aggiungono i ricercatori – dove, però, l’antenna del PSI si è differenziata da quella del PSII per assorbire i fotoni lasciati passare dagli strati superiori, che sono più abbondanti. La perdita di efficienza viene, quindi, compensata con l’assorbimento di una dose maggiore di fotoni. Ciò permette ai due fotosistemi, che lavorano in serie, di trasportare elettroni con lo stesso ritmo, collaborando egualmente alla produzione di biomassa”. All’opposto, le condizioni in cui il PSII lavora più velocemente del PSI sono ben conosciute per produrre danni che possono portare alla distruzione dei fotosistemi e alla perdita di produttività. È questo il  processo che per gli scienziati limita la crescita delle alghe, una risorsa per la produzione di cibo e biocombustibili per il futuro sui cui da anni si concentra lo sforzo dei ricercatori scaligeri . 

Gli autori, infatti, sono ora al lavoro per fornire alle alghe unicellulari un sistema antenna per il PSI simile a quello delle piante. Ciò permetterà alle alghe di crescere anche a forti concentrazioni cellulari , nei fotobioreattori industriali in cui la filtrazione della luce è simile a quella che si trova nelle foglie delle piante. “Il vantaggio applicativo che potrà derivare da questa ricerca  – precisa Roberto Bassi – sta proprio nel fatto che avendo svelato la ragione dell’efficienza delle piante, una strategia evoluta in centinaia di milioni di anni, possiamo ora insegnare alle alghe a fare come le piante. In questo modo potremo coltivare le alghe a concentrazione più alta con maggiore rendimento. Al momento, i  fotobioreattori non sono abbastanza efficienti proprio perché contengono una quantità di alghe ridotta che non ripaga a sufficienza  l’ elevato costo di gestione e costruzione”. 

rd

30.08.2016

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