“All’origine della vita: la sfida della ricerca”. Questo il titolo del convegno che si è svolto domenica 16 marzo nel museo civico di Storia naturale e inserito nel ciclo di conferenze “Infinitamente”. Protagonista dell’incontro Sheref S. Mansy, ricercatore Armenise-Harvard del CIBIO (Centre for integrative biology) dell’Università di Trento, specializzato nello studio sull’origine della vita e sulla possibilità di sintetizzare cellule artificiali.
La vita in laboratorio. Come è avvenuto il passaggio da un pianeta senza vita ad un pianeta con una grande diversità di specie viventi? Mansy ha sottolineato la difficoltà a rispondere a questa domanda in mancanza di tracce storiche e di reperti fossili di questo avvenimento. Dunque si tenta oggi di riprodurre in laboratorio le condizioni fisiche e chimiche per la comparsa della vita: si è notato in particolare il comportamento di alcuni grassi, capaci di organizzarsi in vescicole o compartimenti. “Questo tipo di vescicole sono in grado di crescere e dividersi, e sono anche capaci di acquisire nutrienti per alimentare i loro processi metabolici” ha spiegato Mansy. “Con queste informazioni si può creare una sorta di ciclo vitale. Si può immaginare di avere del Dna e del Rna capaci di replicarsi chimicamente: in questo caso la struttura cresce per contrastare la pressione osmotica interna. Con la crescita, il sistema diventa instabile e alla fine avviene la rottura di questa vescicola in altre microvescicole. Alcuni di questi passaggi sono stati ricreati in laboratorio, ma non tutti e soprattutto non è mai stato ricreato il ciclo completo”.
Il problema della definizione scientifica della vita. “Facciamo finta che saremo in grado di costruire in laboratorio dei sistemi capaci di copiare il genoma, di crescere, di dividersi, di replicarsi” ha continuato il ricercatore. “Ma voi la considerereste vita questa? Non c'è nessuna definizione scientifica di vita. Non sappiamo cosa stiamo cercando di costruire. Se chiedete ad un ingegnere di costruire una macchina, avrà un'idea precisa di quando avrà raggiunto il suo obiettivo. E invece, come possiamo noi sapere di aver avuto successo? Questo è un problema spinoso, perché tutti in questa stanza saremmo in grado di riconoscere e di distinguere una cosa viva da una cosa non viva; non è necessario avere un dottorato di fisica, chimica o biologia per saper distinguere quali dei due è vivo e quale no. Come si prende questa decisione, quali sono i criteri?”.
Una possibile soluzione. Per Mansy un problema analogo è quello incontrato dai ricercatori dell’intelligenza artificiale: cosa è l’intelligenza e come riconoscerla? La proposta del matematico Touring è stata quella di sottoporre l’iterazione uomo-macchina al test che ha preso il suo nome: se l’uomo non si accorge di interagire con un computer, ciò significa che il test è stato superato: ciò non vuol dire che sia stata prodotta una intelligenza artificiale, ma che è stato fatto un passo nella giusta direzione. Mansy si è dunque chiesto: “Si può creare un test di Touring per le cellule? Quello che si sta cercando di fare in questo momento è cercare di capire quando una cosa che è stata creata artificialmente possa essere considerata viva. I batteri – ha spiegato il ricercatore – comunicano tra di loro. Quindi, se mescoliamo batteri a cellule artificiali, i batteri si rendono conto che sono collocati in mezzo a degli elementi artificiali o pensano di stare comunicando con altri batteri?”.