“Mi hanno fatta arrabbiare, sono arrabbiata e non voglio smettere di essere arrabbiata”. Sono le parole di Romana Blasotti Pavesi, 84 anni, 30 dei quali passati a combattere contro i “criminali” che con la loro negligenza e la loro avidità hanno avvelenato Casale Monferrato.
Presidente dell’associazione familiari e vittime dell’amianto, la signora Blasotti Pavesi si è raccontata davanti all’aula gremita di studenti in occasione del convegno “Le radici dei diritti”. Ha parlato della storia della sua famiglia, una delle tante che hanno vissuto da vicino gli effetti dannosi dell’amianto. Il marito, Mario Pavesi, operaio alla Eternit di Casale Monferrato, è morto di mesotelioma pleurico, una forma di cancro che rimane in incubazione per venti, trenta a volte quarant’anni ma che in pochi mesi non lascia scampo a chi lo contrae. Una malattia causata dalla polvere d’amianto, un minerale che fin dal 1900 ha trovato parecchi impieghi, tra cui quello di isolante nelle carrozze ferroviarie ma la cui dannosità è stata resa nota solo negli anni ’60. Insieme al marito, Romana ha perso la figlia, la sorella e il nipote, tutti entrati a contatto con la polvere di amianto che rimaneva attaccata alla tuta degli operai che, terminato il proprio turno di lavoro, tornavano nelle proprie case ignari dei rischi a cui avrebbero esposto la propria famiglia. “Quella di Casale Monferrato è una tragedia che riguarda tutti, dato che la salute dovrebbe essere un diritto insostituibile e che spesso la storia si ripete, come dimostra la vicenda dell’Ilva” – ha affermato Giampiero Rossi, giornalista che ha scritto la storia della famiglia Pavesi nel libro “La lana della salamandra. La vera storia della strage dell’amianto a Casale Monferrato” – “Quando si è intuita la pericolosità dell’amianto e sono iniziate le lotte sindacali, la Eternit ha installato una turbina che aspirava le polveri presenti all’interno della fabbrica spargendole all’esterno. Nelle aree circostanze, le vetrine dei negozi erano sporche, la gente in bicicletta rischiava di scivolare sull’asfalto coperto dalla polvere e i giovani di Casale Monferrato erano soliti ritrovarsi su una spiaggia che si era formata sulle anse del fiume grazie al deposito dell’amianto”. “ Sono stati ritrovati, al momento del processo, documenti in cui i vertici della Eternit erano a conoscenza degli effetti dell’amianto” – ha proseguito Rossi – “ Documenti in cui venivano indicate le modalità di comportamento nei casi di morte causata dall’amianto e le attività di contro informazioni attuate nel corso degli anni dall’azienda”. Il 3 giugno di quest’anno i due manager dell’azienda sono stati condannati a 18 anni di reclusione mentre il comune di Casale Monferrato sta tutt’ora pagando per bonificare l’area circostante. “ Il processo che si è svolto a Casale Monferrato è stato il primo in Europa contro l’amianto e ha fatto il giro del mondo” – ha aggiunto la signora Blasotti Pavesi – “ I ragazzi di Casale Monferrato hanno fatto tanto, hanno seguito il processo e oggi in quest’aula ho notato con piacere che i ragazzi ascoltano,vogliono sapere perché con la loro intelligenza e la loro forza sapranno un giorno come pretendere i loro diritti e ottenerli”.
La vicenda dell’Ilva. Un altro caso che affronta la relazione tra diritto alla salute e diritto del lavoro è la vicenda dell’Ilva di Taranto, un’acciaieria che rappresenta il 70% del prodotto interno lordo della città, una speranza per combattere una grave situazione di disoccupazione ma al tempo stesso una minaccia per la salute di lavoratori e cittadini. “Il momento di rottura nella storia dell’Ilva – ha raccontato Vincenzo Vestita, rappresentante dei lavoratori per la sicurezza dell'Ilva – è stata la pubblicazione di una perizia epidemiologica che ha confermato il nesso causale tra le emissioni di diossina prodotte dall’Ilva e il tasso di mortalità degli operai, provocando il sequestro degli impianti a caldo dell’azienda e riducendo la sua attività ”. Il Governo con un decreto dello scorso giugno ha affidato la fabbrica a una commissione e svincolato gli otto miliardi sequestrati dalla magistratura con il compito di bonificare l’area. “Bisogna preservare l’Ilva attraverso cambiamenti decisivi – ha aggiunto Vestita – “ La produzione, con il sequestro degli impianti a caldo è in passivo e i soldi appartenenti alla famiglia Riva non si sbloccano. Per questo la Fiom chiede di non dare seguito al decreto, ma invita lo Stato a concedere un prestito forzoso tramite la Cassa deposito prestiti in modo tale da mettere a norma lo stabilimento, preservando i posti di lavoro e renderlo competitivo in Europa”.
Ascolta le interviste realizzate da Fuoriaula network a Romana Blasotti Pavesi e a Vincenzo Vestita
1/12/2013