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Educazione alla legalità

Il carcere entra all'università. Tra i promotori dell'iniziativa Elda Baggio delegato d'ateneo alle pari opprtunità

di univr
30 Novembre 2010
in Senza categoria
da sinistra Maurizio Ruzzenenti

da sinistra Maurizio Ruzzenenti

Un'intera giornata dedicata alla realtà del carcere. L'iniziativa realizzata dall'università di Verona con la collaborazione delle associazioni aderenti al progetto “Il carcere entra a scuola, la scuola entra in carcere” ha messo a confronto esperienze diverse sul tema dell'educazione alla legalità. Promotrice del progetto è Elda Baggio, delegato del Rettore per le pari opportunità e docente della facoltà di Medicina e chirurgia di Verona.

Il progetto. Educazione alla legalità, tre semplici parole per un grande obiettivo. È questo lo scopo che l'università di Verona vuole raggiungere con questo progetto che “nasce dall'osservazione che gli studenti non hanno idea di cosa sia l'applicazione della pena – ha affermato Elda Baggio. – A mio avviso è un percorso che dovrebbe essere obbligatorio per tutti gli studenti, soprattutto in un momento in cui sembra che chi ha potere non sia tenuto alla legalità e lo sia invece solo chi non ne ha. È importante sapere – ha concluso – che la legalità è un dovere per tutti e tutti siamo tenuti a rispettarlo”.

I protagonisti. A moderare l'incontro è stato Giuseppe Tacconi, docente della facoltà di Scienze della formazione all'università di Verona che haintrodotto gli ospiti. Al seminario sono intervenuti anche Vincenzo Linarello, presidente del consorzio sociale Goel di Locri (Calabria), due associazioni di Verona: “La Fraternità” e “Progetto carcere 663” e l'associazione padovana “Granello di senape”.

La lotta alla 'ndrangheta. A dare il via agli interventi è stato Vincenzo Linarello, presidente di Goel, consorzio sociale che nasce con un chiaro obiettivo di riscatto e di cambiamento in alcune zone della Calabria. Regione che vede oltre il 70% di disoccupazione giovanile e una densità di violenza tra le più alte in Europa. “Goel nasce con l'idea di creare alternative concrete attraverso la costruzione di percorsi di servizio in settori molto diversificati – ha spiegato Linarello. – La nostra mission è il cambiamento della Calabria e per attuarla abbiamo dato vita a una serie di attività che comprendono diversi ambiti della realtà sociale”. Questo progetto ha realizzato tre comunità di accoglienza per minori e adolescenti provenienti da percorsi di devianza, ha avviato due istituti psichiatrici per far fronte alla malasanità, opera inoltre nel settore turistico e dello sviluppo locale. Il suo principale scopo è dunque quello di tentare di prevenire l'appartenenza alla 'ndrangheta attraverso l'educazione alla legalità. “Un'educazione – ha concluso Linarello – il cui vero obiettivo non è quello di vincere la battaglia contro la mafia ma è quello di convincere, sia nel senso di persuadere sia nel senso di vincere insieme”.

Il carcere entra a scuola, la scuola entra in carcere. La parola è poi passata ai rappresentanti delle tre associazioni che hanno aderito al progetto “Il carcere entra a scuola, la scuola entra in carcere”, iniziativa di educazione alla legalità in ambito scolastico.

“La Fraternità” di Verona. Ha presentato gli interventi del primo gruppo Arrigo Cavallina, da anni impegnato in una costante collaborazione con l'associazione veronese. Il progetto realizzato da “La Fraternità” ha coinvolto diverse realtà e in particolare la scuola media Braida, l'Unione italiana per la lotta alla distrofia muscolare (Uilmd), rappresentata da Davide Tamellini, il liceo Messedaglia di Verona e l'Università di Padova. L'esperienzaa alla scuola media Braida è stata raccontata da due ex allievi, Luigi Giangrande e Carlo Lorenzini, accompagnati dal docente Alessandro Giuliani. Lo scopo del progetto è stato quello di riflettere sul significato delle scelte che si compiono e sulle loro conseguenze. A tale proposito gli alunni hanno ascoltato le testimonianze di diverse persone tra cui alcuni detenuti e i loro familiari, un'educatrice di una comunità per ragazzi in affidamento e una donna che ha visto uccidere la sua famiglia dalla mafia.

“Granello di senape”. Per l'associazione di Padova è intervenuta Ornella Favero, giornalista coordinatrice di Ristretti orizzonti, rivista che collabora con l'associazione “Granello di senape” per diffondere l'informazione all'interno delle carceri e per migliorare quella verso l'esterno sulla realtà carceraria. Il progetto avvicina i ragazzi a questo mondo organizzando degli incontri con i detenuti i quali hanno modo di raccontare la loro esperienza in prima persona: “Il progetto è molto utile per noi – ha raccontato Andrea, un'ex detenuto – perchè è un vero e proprio percorso di rielaborazione di quello che si è fatto e ci sono persone che hanno ammesso con più facilità di aver commesso un reato davanti ai ragazzi che davanti ai giudici”. “Grazie a questi incontri sono riuscita a capire i veri motivi che mi avevano portato a fare quello che ho fatto; – ha confermato Paola, che poi ha aggiunto – ho subito accettato di partecipare al progetto nelle scuole per mia figlia, glielo dovevo perchè per otto anni non le ho dato niente perchè non c'ero e visto che i ragazzi che dovevo incontrare avevano la sua età mi sembrava in qualche modo di compensare quello che a lei avevo tolto”.

Progetto carcere 663. Il seminario si è concluso con l'intervento di Maurizio Ruzzenenti, presidente dell'associazione “Progetto Carcere 663” che ha presentato l'iniziativa “Carcere e scuola”. Lo scopo è ancora una volta quello di educare i giovani alla legalità, avvicinandoli a una realtà che non è poi così distante. “Il progetto nasce con l'obiettivo di far capire ai giovani che il carcere è una dimensione che fa parte di questo mondo – ha precisato Ruzzenenti – e proprio per questo all'inizio consisteva nel far entrare nei penitenziari persone che intrattenessero con i detenuti varie attività, in particolare quelle sportive”. Il progetto si è poi ampliato e ha assunto una prospettiva più didattica: “in un primo momento viene spiegato ai ragazzi che in una società complessa le regole sono indispensabili e che nascono per difendere i più deboli e non i più forti – ha affermato. – Poi si passa agli incontri con le diverse figure legate a questa realtà, iniziando con quelle esterne: forze dell'ordine, magistratura, avvocati e terminando con quelle interne: polizia penitenziaria, detenuti e tutte quelle persone che aiutano i carcerati nella difficile fase del reinserimento nella società”.

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