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Quale futuro per l'ateneo?

Il Rettore, durante il discorso dell'inaugurazione dell'anno accademico, ha parlato del futuro dell'Università di Verona

di univr
29 Gennaio 2010
in Attualità
Il Rettore durante il discorso

Il Rettore durante il discorso

"Il processo di rinnovamento cui l’Università italiana si sta aprendo in modo responsabile e consapevole comporta una totale apertura delle mura fortificate verso la società civile. La cultura universitaria non può restare ancorata al patrimonio culturale maturato nel passato, ma proiettarsi su fondamentali investimenti per il futuro, quali la preparazione del capitale intellettuale, l’espansione del sapere e dell’innovazione". Questa la premessa del discorso inaugurale del rettore Alessandro Mazzucco che è ha svolto una approfondita analisi della questione universitaria, affrontando i temi del rinnovamento. di cui v’è forte richiesta nel Paese e della conseguente, improcrastinabile riforma.

Se, come afferma il ministro Gelmini, l’Università deve: “tornare ad essere uno strumento davvero efficace di crescita e di promozione sociale e personale di un Paese avanzato” quali sono i problemi cui dare risposta, gli interventi da operare e gli obiettivi da raggiungere?
“Il dualismo tra l’interesse personale e l’autonomia che hanno caratterizzato le modalità della nascita della Università, ed il bene della collettività, che ne ha determinato il suo configurarsi come istituzione pubblica di primaria importanza. Nel tempo, questo ha dato vita talora ad una eccessiva interferenza dello Stato sulle scelte operate per raggiungere gli scopi della ricerca e della istruzione superiore o, in altre occasioni, a derive autoreferenziali di un mondo accademico talvolta incapace di governare responsabilmente il potere ad esso delegato. Ed è mia profonda convinzione, per ragioni storiche, culturali, politiche, che il sistema universitario di oggi, nel bene e nel male rappresenti quello che tutto il Paese ha contribuito a generare
E ciò va detto, fatti salvi gli immensi meriti di una maggioranza di docenti, amministrativi, studenti che anche nel presente, come nel passato, hanno consentito comunque che il nostro Paese offrisse ad un mercato globalizzato laureati che riscuotono ovunque successo e apprezzamento, malgrado risorse storicamente molto svantaggiose rispetto agli altri Paesi europei.”

Come porre rimedio ai problemi dell’università italiana?
“Bisogna metter mano con urgenza alle cosiddette “falle” e contestualmente – si badi bene – non dopo, adesso, il sistema va rifinanziato in misura da poter sostenere il confronto internazionale in un sistema globalizzato che marcia a pieno ritmo.
La alternativa, se non si segue questa strada, è quella di non avere più una classe dirigente italiana ma di doverla acquistare all’estero, di non avere più, come nazione, una propria capacità di innovazione, di produzione intellettuale, ma di doverla comprare all’estero”.
Il primo intervento è quello di sostituire alle logiche del potere il valore del merito. Naturalmente, non bastano le dichiarazioni; ci deve essere un impegno programmatico che richieda innanzitutto un sistema di valutazione sistematica, affidata a valutatori indipendenti e fondata su parametri consolidati riconosciuti a livello internazionale. Subito!
Parallelamente, è ormai tempo di riformare la governance della Università, che oggi è ancora totalmente fondata sulla rappresentanza a tutti i livelli, una pseudo-democrazia partecipativa nella quale il governo dei conflitti interni tende all’immobilismo generato dalle logiche spartitorie. Il governo dei molti ancor oggi conserva in sé gli stessi meccanismi ispirati all’individualismo che connotavano il governo delle selettive università di élite. Questo vuol dire impedire le sinergie, impedire di generare le risposte efficaci che la società pretende dalla università che essa stessa finanzia.
Bisogna porre fine alla duplicazione delle competenze. I docenti debbono afferire ai Dipartimenti in relazione all’ area disciplinare di appartenenza, che ne contraddistingue a tutti gli effetti la qualificazione nello svolgimento dell’attività scientifica come della didattica, ponendo rimedio alla impropria configurazione in centri di potere accademico ma esenti da responsabilità amministrative quali sono oggi diventate le facoltà. Il governo degli Atenei deve essere accentrato su una sola struttura decisionale sottratta ai meccanismi di rappresentanza propri del governo delle corporazioni e affidata a persone selezionate primariamente per la loro competenza e qualificazione professionale e, in adeguata percentuale, esterne all’Ateneo.
Terzo elemento: l’accesso alla docenza. Molto si è detto sul nepotismo, sui favoritismi all’interno dell’Università. Queste sono malattie del sistema prima che delle persone. Le verifiche in ingresso e periodiche, la valutazione continua della produttività, la progressione mediante selezioni di merito, la diversificazione delle retribuzioni in ragione di qualità e resa individuali, sono tutti passaggi necessari per puntare alla necessaria certezza della equivalenza tra il ruolo di docente e di scienziato. Da fare subito!”
E’ necessario inoltre superare ogni individualismo e avviare sinergie fra istituzioni universitarie: “ogni istituzione sia consapevole della specificità ad essa riservata nell’offerta complessiva della formazione superiore”

Toccando il tema centrale del diritto allo studio, il rettore ha affermato che non solo ogni persona ne abbia la capacità deve essere messa in condizione di accedere alla formazione universitaria a prescindere dal reddito suo o della sua famiglia, ma deve “poter risiedere nella sede della Università, altrimenti il suo studio sarà un mero surrogato della vera formazione universitaria.
Il campus universitario è un’area di vivibilità nel cui contesto gli studenti frequentano, lavorano, studiano ed abitano. Nulla a che fare con gli assurdi pendolarismi di troppi nostri studenti e con le problematiche accoglienze di frequentatori stranieri, che penalizzano gravemente la internazionalizzazione delle nostre Università. E’ evidente che non si può pensare di avere risolto il tema critico del diritto allo studio se non si riesce a garantire a chi deve studiare, insieme alla offerta formativa anche vitto, alloggio e servizi necessari. Ho già fatto in passato appello ai nostri enti territoriali in tal senso, appello che so giunto a buon fine. Tuttavia, lo stato non può esimersi dall’affrontare a livello nazionale la questione che richiede non tanto o non solo qualche milione di euro per borse di studio, ma un immediato rifinanziamento della edilizia universitaria da troppi anni bloccata”.
Tutto ciò premesso “una volta riconosciuta, ormai da più di un anno, la correttezza della analisi del problema, la sua intollerabilità, la urgenza di correggerlo e la disponibilità a costruire un provvedimento di riforma radicale, non vi sono giustificazioni per un qualsiasi ulteriore ritardo nell’attuare la riforma.”

Area di primario valore per l’Università di Verona è la ricerca
Abbiamo aumentato, malgrado la situazione di crisi, gli stanziamenti in ricerca, che sono complessivamente cresciuti, grazie anche al generoso sostegno offerto dalla fondazione Cariverona e da Banca Popolare, realizzando il fondo unico dipartimentale per la ricerca che consentirà ai nuovi dipartimenti di essere responsabilizzati sulla loro capacità di utilizzare al meglio le risorse per accedere a ben più consistenti fondi internazionali. Segnalo, perché è un nostro preciso punto programmatico, il costante impegno sul mantenimento delle attività del postlaurea attraverso la costituzione di sette scuole di dottorato che danno vita a 30 corsi di dottorato, all’interno dei quali godono di una borsa triennale ben 134 dottorandi.
Grande attenzione è posta anche alla valutazione sistematica della ricerca.
L’Università di Verona, nonostante le difficoltà determinate dai noti tagli ai finanziamenti pubblici, riesce ad investire in settori decisivi per il suo sviluppo:
Il 13 dicembre scorso, malgrado i tempi ci impongano un incremento drammatico delle spese fisse a fronte di un taglio del 5% degli introiti statali, abbiamo approvato un bilancio di previsione per il 2010 all’interno del quale, garantendo tutti gli impegni istituzionali, edilizia compresa, mettiamo a disposizione di spese discrezionali un fondo di 14 milioni di euro per le attività qualificanti, tra le quali trovano collocazione gli investimenti in ricerca che ho già ricordato – e che integrano le troppo limitate risorse statali destinate alla ricerca in generale, a quella pubblica in modo particolare, – le borse di studio agli studenti meritevoli.

Verona è un’Università “virtuosa” E’ noto che Verona figura tra gli Atenei virtuosi del Paese. Questo ha suscitato vivacissime reazioni, come se si trattasse di una delle solite autocelebrazioni accademiche e non invece di un elemento riconosciuto dal Ministero nel momento in cui ha cominciato a fare quasi sul serio nel diversificare il trasferimento di fondi agli Atenei in ragione della loro performance… Rivendico invece l’appellativo di “virtuosa” perché quelle Università che hanno amministrato nel passato con disinvoltura – e si badi, non parlo degli attuali rettori, molti dei quali stanno affrontando con estrema difficoltà situazioni catastrofiche loro lasciate in eredità – oggi si trovano con seria preoccupazione di fronte ad una futura assegnazione sensibilmente ridotta, nella quale il taglio lineare dei trasferimenti statali viene compensato in maniera selettiva attraverso la distribuzione di una quota di essi proporzionata alla performance, e protestano. Si può solo replicare che le Università cui oggi viene riconosciuta questa virtù sono quelle che hanno sempre avuto il bilancio in pareggio, e che oggi rivendicano un finanziamento fondato sul merito, malgrado da sempre siano state sotto finanziate a causa del modello fondato sullo storico”

Il problema del finanziamento dell’università è squisitamente politico. “se le Università pubbliche statali debbono continuare ad essere a carico di un fondo statale unico, distribuito con un meccanismo competitivo basato sulla performance, allora il minimo che si deve pretendere sono regole certe e il loro rispetto. Se questo non dovesse avvenire e dovesse passare un malinteso concetto di solidarismo in base al quale si sia costretti a deviare quantità rilevanti di risorse destinate a colmare qualche voragine di bilancio, allora si capisce bene come il problema non sia della Università, ma diventi interamente politico. La competizione è stimolo alla crescita, non possiamo accettare livellamenti al basso. E, a mio modo di vedere, i governi regionali cui mi sembra inevitabile venga affidato un ruolo più pregnante nel loro sostegno e promozione alle Università dalle quali traggono indubbi benefici, dovrebbero essere sensibili e presenti in questa rivendicazione”.

Conclusioni. "Confidando che questi miei ragionamenti siano stati sufficientemente espliciti e più che mai convinto che essi contengano la doverosa risposta ad un appello della società, concludo non senza aver calorosamente ringraziato tutti i componenti di questa Università che ha ormai trovato la propria identità nel sistema nazionale, ognuno per il contributo offerto alla sua affermazione. Pienamente cosciente delle capacità di tutto questo corpo accademico, in particolare degli organi di Governo e della amministrazione, per la piena fiducia nei nostri giovani, per la consapevole responsabilità che anima le politiche individuali e di gruppo del nostro Ateneo, interessate a sviluppare nuove ipotesi di integrazione e nuovi modelli più consoni alla ricchezza culturale e scientifica vantata da questo territorio; in virtù di questa fiducia, di questa speranza , di questa determinazione, dichiaro ufficialmente aperto l’anno accademico 2009 – 2010".

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