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Scimmie clonate e geneticamente modificate per essere insonni

Alberto Turco, genetista nel dipartimento di Neuroscienze, biomedicina e movimento, analizza motivazioni e possibili sviluppi della ricerca cinese

di Elisa Innocenti
31 Gennaio 2019
in Ricerca e innovazione

Nuovo traguardo raggiunto dai genetisti cinesi: cinque scimmie clonate e “ammalate” di insonnia, ottenute riprogrammando cellule di animali geneticamente modificati con il “taglia-incolla del Dna”, secondo il sistema di Ingegneria genomica, il Crispr/Cas98. Ne abbiamo discusso con Alberto Turco, docente di Genetica in ateneo.

Professore, perché il team dell’Institute of Neuroscience della China Academy of Sciences di Shanghai ha scelto di ottenere queste particolari modificazioni genetiche?

Lo scopo è quello di studiare malattie finora difficili o impossibili da riprodurre in laboratorio come le malattie neurodegenerative e, forse, l’insonnia stessa. Le cinque scimmie sono il frutto di due esperimenti distinti. Nel primo, embrioni di scimmia sono stati modificati geneticamente utilizzando la tecnica Crispr/Cas9, silenziando, cioè eliminando in questi embrioni, un gene che partecipa alla regolazione del ritmo biologico circadiano (chiamato Bmal1). Dagli embrioni così modificati sono nate scimmie con disturbi di vario tipo, legati a un’alterazione del ritmo sonno-veglia (insonnia, squilibri ormonali, ansia, depressione). I disordini del ritmo circadiano possono portare a molte patologie (cancro, diabete e neurodegenerazione). Le scimmie potranno essere utilizzate per studiare sia lo sviluppo e l’evoluzione di queste malattie “in vivo”, sia per ricavare possibili terapie. Nel secondo esperimento, dalle scimmie con i disturbi del sonno sono stati prelevati i nuclei di cellule adulte, fibroblasti, e trasferiti poi in ovociti, privati del loro nucleo originale. Da questo processo di clonazione, utilizzando la stessa metodica che aveva portato alla nascita della celeberrima Dolly, e chiamato “Scnt”, cioè trasferimento di nucleo somatico, sono nate le cinque scimmie che hanno ereditato il disturbo del ritmo circadiano.

 

Si aprono, quindi, possibili nuovi scenari terapeutici per l’uomo?

L’idea di riprodurre modelli di malattia in animali da esperimento non è nuova: oggi si fa prevalentemente sui topi o sui ratti. Ricreare una malattia nei primati, anche modificandoli geneticamente, può permettere di capire come si sviluppa e progredisce, dal punto vista anche molecolare e cellulare, una patologia, e quali farmaci possono modificarla e alla fine curarla. Queste cinque scimmie, essendo cloni, cioè organismi geneticamente identici, sono animali geneticamente omogenei e confrontabili, e pertanto sperimentalmente preziosi: infatti animali “naturali” presenterebbero invariabilmente variazioni genetiche tali da rendere difficili le valutazioni. Forse gli scienziati cinesi stanno aprendo la strada a nuovi impensabili e stimolanti orizzonti scientifici, che ripropongono il tema, dibattuto, controverso e iniziato con Ian Wilmut e Dolly nel 1996, della clonazione riproduttiva animale nei primati, accoppiata alle nuovissime tecniche di Ingegneria genomica.  Le aspettative sono naturalmente alte o altissime.

 

La clonazione, come anche la sperimentazione animale, è un tema dibattuto, che porta con sé dubbi di natura etica. In Italia sarebbe possibile clonare animali?

Non mancano, certamente, perplessità di tipo etico, quali ad esempio l’annoso dibattito che riguarda l’utilizzo degli animali nella ricerca. Forse in Cina esistono meno vincoli rispetto a noi.  Comunque, un passo dopo l’altro, piaccia o non piaccia, ci stiamo avvicinando al momento in cui faremo nascere uomini con il patrimonio genetico modificato, e queste modifiche potranno anche essere trasmesse a figli e nipoti. Ne parliamo con entusiasmo e con preoccupazione. Dalla prima pecora, la notissima Dolly del 1996, a capre, cani, cavalli, maiali, gatti, insomma ad un vastissimo “clonozoo”, i ricercatori hanno dato vita a moltissimi animali in modi non convenzionale, cioè “asessuati”, partendo da cellule coltivate in laboratorio che possiedono un patrimonio genetico selezionato da noi. E ora siamo alle scimmie; l’aspetto importantissimo è il fatto che nessuno, fino allo scorso anno (sempre in Cina), era riuscito a clonare primati non umani. I macachi sono animali molto più complessi e più simili a noi, quindi molto più adatti allo studio biologico: hanno infatti sistemi metabolici e genetici più simili a quelli umani: una risorsa preziosissima quindi.

 

Oltre alla legge meno restrittiva, ci sono altre ragioni per cui questi esperimenti vengono condotti con successo in Cina?

L’incredibile accelerazione scientifica della ricerca biomedica cinese merita una riflessione: la Cina è un colosso che da qualche tempo si è potentemente organizzato per lavorare anche in campo biologico e biomedico. Ad esempio i Cinesi sono stati i primi, nel 2012, a studiare e a diffondere le nuovissime tecniche di avanguardia di diagnosi prenatale non invasiva, “Nipt”, Non Invasive Prenatal Testing, basata sul sequenziamento del Dna fetale circolante nel sangue materno (questa tecnica porterà alla scomparsa delle tecniche note di diagnosi prenatale invasiva come amniocentesi e villocentesi, gravate da un certo rischio di abortività). Come già ricordato, le aspettative sono elevate, e chissà quante e quali altre sorprese ci faranno gli scienziati cinesi. Concludendo e citando il professor Edoardo Boncinelli : “È molto ragionevole che il primo uomo «progettato a tavolino» abbia gli occhi a mandorla o indossi un sari”.

 

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